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Congresso della Confederazione Internazionale dei Sindacati ITUC a Vancouver. L’australiana Sharan Burrow eletta Segretario Generale.

Vancouver – A poche ore dall’inizio del G8 di Huntsville – che nel fine settimana sarà seguito dalla riunione del G20 – il presidente della Ue, Herman Van Rompuy, e il presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso, smorzano del tutto le aspettative dei sindacalisti giunti qui in Canada da tutto il mondo per il secondo congresso della loro confederazione, la Cis: “Senza il consolidamento dei bilanci non ci può essere crescita”. Le parole dei vertici dell’Unione europea suonano soprattutto come una risposta al presidente Usa, Barack Obama, che nei giorni scorsi aveva chiesto all’Europa di non eccedere con il rigore dei conti per non soffocare la ripresa economica. Ai sindacalisti, che per cinque giorni hanno chiesto al G20 dal palco in ogni lingua di aprire allo sviluppo dopo che i Grandi hanno asfissiato la protezione sociale, i primi leader giunti (sono qui anche Berlusconi e il britannico Cameron) rispondono picche.Solo la Merkel tiene duro. Le varie marce di protesta a Toronto nei giorni caldi del 25 e 26 giugno, vedranno a Queen’s Park anche il Canadian Labour Congress (Clc), che rappresenta complessivamente 3.000.000 di lavoratori. E anche in questo caso occorre ripensare l’azione sindacale, ad ogni livello, locale e globale. Sciopera la Cgil, di nuovo in piazza ormai senza una strategia; sciopera ancora in Grecia il sindacato comunista. Governi disattenti, sindacati che non riescono ad anticipare le riforme necessarie anche al loro interno. E la concertazione, la partecipazione, si fanno sempre più distanti. Ma non è così ovunque. “La difesa del diritto al lavoro dignitoso per i lavoratori è stata una priorità per lo Stato in occasione della crisi economica in Argentina nel 2001”, ha detto dal palco al centro congressi il presidente Cristina Fernandez de Kirchner, in un’allocuzione indirizzata ai delegati sindacali. Nel suo intervento, il presidente ha anche chiamato alla regolamentazione del mercato dei capitali, invitando a ricordarsi proprio del drammatico esempio argentino. La Kirchner si è fermata a Vancouver ma raggiungerà subito i colleghi del G20 in Ontario. Anche molti dirigenti sindacali parteciperanno alle riunioni del G8 e del G20 per spingere per una profonda riforma del settore finanziario. L’asse Berlino-Parigi-Londra, a dispetto dei tanti contrasti esistenti, cerca di cementarsi soprattutto intorno a un obiettivo di forte presa sull’opinione pubblica: la necessità di una tassa sulle banche, responsabili in gran parte della crisi attuale. Ma il fronte appare tutt’altro che solido su altre questioni, come la stretta sugli hedge fund e i fondi speculativi o il giro di vite sui derivati, dai credit default swap alle vendite allo scoperto. Essere là dove si prendono decisioni: questo è un metodo che almeno qualche sindacato cerca di adottare. E di fronte alle spaccature dei governi, i sindacati cercano una difficile unità. Poul Nyrup Rasmussen, presidente dei Socialisti europei ed ex primo ministro danese, al congresso ha evocato l’importanza, sulla base dell’economia mondializzata d’oggi, di dare una dimensione internazionale alle attività sindacali nazionali ed ha invitato le direzioni dei sindacati ad integrare regolarmente questa dimensione nelle loro analisi e discorsi. E qui resta un nodo, percepito fortemente dai sindacati nazionali, le cui delegazioni il più delle volte in queste occasioni rischiano di sentire parole solo per “addetti ai lavori”. Un dubbio è allora legittimo: ma sono forse solo i sindacati nazionali a doversi aprire alla globalizzazione o anche il linguaggio e l’azione internazionale dovrebbero tener conto delle realtà locali e superare le mere astrazioni? In altre parole: va benissimo la sprovincializzazione dei sindacati locali, ma quanto quelli internazionali sono disposti a rimettersi in discussione e a trovare contatti con i problemi quotidiani della gente comune? Forse non basta occuparsi di Africa o essere esperti di una regione del mondo; occorre trovare una chiave – soprattutto oggi con le multinazionali – per aiutare anche la propria organizzazione nazionale a risolvere i problemi locali alla luce dell’esperienza internazionale, e non solo viceversa. Benchmarking, dati, fatti, storie concrete, (ma questo anche per altri eventi internazionali, non solo per un congresso sindacale), e forse anche i media ne scriveranno dato che un congresso, da sè, non fa notizia. La Confederazione Internazionale dei Sindacati, la Cis, comprende oggi 176 milioni di affiliati appartenenti a 311 organizzazioni sindacali di 155 paesi. Cifre da far tremare le vene; eppure qualcosa non funziona. Basti pensare che del congresso non hanno dato notizia neppure i giornali locali, e che sulle agenzie italiane, ad esempio, l’unico lancio titolato sull’evento riporta dichiarazioni di ong e non di sindacati. Ed è un peccato che il lavoro dei sindacalisti impegnati nelle attività internazionali non riesca ad emergere concretamente sui media. Discernere, comunicare, informare. Il segretario generale uscente, Guy Ryder, il problema l’ha individuato eccome, a scorrere la sua relazione laddove riconosce il ruolo determinante nella contrattazione delle Global Unions, le federazioni di categoria. Ryder continua, saggiamente: “Il pericolo che l’internazionalismo sindacale sia stato – e possa continuare a rimanere – distante dal nucleo delle priorità e dall’opera dei sindacati nazionali e che risulti di interesse solamente per un gruppo limitato di specialisti e di entusiasti del settore era già stato identificato nella fase di costituzione della Cis (…). La sfida consiste nell’avvicinare tutti i vari aspetti del lavoro della Cis alle principali preoccupazioni degli affiliati (…) Anche una volta che gli internazionalisti più impegnati avranno assunto posizioni di leadership all’interno delle organizzazioni affiliate e anche con dipartimenti internazionali estremamente dinamici, il lavoro non potrà ancora dirsi concluso. Piuttosto, l’internazionalismo dovrà penetrare in profondità nelle centrali sindacali nazionali che costituiscono la Cis, perché solo così sarà possibile sfruttarne la rilevanza nel perseguimento degli obiettivi”. Le prove a disposizione di Ryder sostengono la convinzione secondo la quale sarebbero molti i sindacalisti interessati ai temi internazionali e pronti a dedicarsi a questi se solo venisse data loro la possibilità di farlo. “Ne consegue che la Cis, unitamente ai suoi affiliati, dovrà esaminare in che misura sia stata efficace nel fornire tali opportunità e quali spazi vi siano per un miglioramento”. Nonostante la debole ripresa economica, la disoccupazione globale è ai suoi massimi livelli con oltre 210 milioni di disoccupati. Nei prossimi dieci anni, sostiene l’Ilo, dovremmo creare altri 470 milioni di posti di lavoro per poter assorbire i nuovi ingressi nel mercato del lavoro. Lo scenario è dunque estremamente difficile, e solo un’assunzione di responsabilità e di sano realismo da parte dei sindacati, nazionali e internazionali, potrà offrire risposte concrete a problemi concreti. L’Fmi e l’Ilo organizzeranno una conferenza comune in settembre sul tema della creazione di posti di lavoro, ma il rischio è che i sindacati si ritrovino ancora un passo indietro. Bisognerà ora vedere se il pragmatismo di una donna, Sharan Burrow, eletta segretario generale della Cis, riuscirà ad accelerare le riforme interne al sindacato internazionale. Certo il neo presidente della Cis, attuale presidente del Dgb tedesco, Michael Sommer, non faciliterà il compito. L’elezione della prima donna come segretario generale della Cis riveste un’importanza storica per il movimento sindacale internazionale e si verifica in un momento eccezionale: la metà dei delegati che ha partecipato al congresso della confederazione era infatti costituito da donne (leggi la dichiarazione sulla parità di genere). La Cisl ha addirittura schierato una formazione in maggioranza femminile: cinque uomini (Donatello Bertozzi, Renzo Bellini, Luigi Cal, Giuseppe Iuliano, Maurizio Bernava più – nella delegazione dell’UNI – Pierangelo Raineri) ed otto donne (AnnaMaria Furlan, Liliana Ocmin, Cecilia Brighi, Paola Simonetti, Franca Porto, Giovanna Ventura, Lina Lucci, Carmela Costagliola). 25 giugno 2010

LA TERZA GIORNATA
Vancouver (dal nostro inviato) – La regolamentazione dei mercati finanziari è l’unico strumento che possa garantire che non si ripeta più ciò che stiamo vivendo: l’attivo delle banche è un multiplo fino a 7 volte del pil dei rispettivi paesi e quel sistema decide assolutamente da solo il credito all’economia, all’impresa, alle persone. Per dare nuova regolazione ai mercati occorre dunque che i sistemi bancari passino da un sistema oligarchico ad un sistema partecipativo e che si creino strumenti veri ed autonomi di controllo. La proposta della Cisl sbarca così oltreoceano e plana nella sala del centro congressi dove è in corso il secondo congresso della Confederazione internazionale dei sindacati (Cis). La segretaria confederale Anna Maria Furlan scuote nel suo intervento le coscienze dei critici tedeschi in sala, ricordando che la stessa società di rating che si è dimostrata quasi preveggente nel definire carta straccia i titoli sovrani della Grecia, di fatto accelerandone la crisi, tre giorni prima del crollo della Lehman Brothers aveva premiato quella banca con una valutazione AAA, “pari a un 10 e lode, e non c’è da stupirsi, visto che oggi la proprietà delle agenzie di rating è saldamente in mano ai più potenti investitori speculativi, authorities indipendenti, che quando decidono di incassare, se serve non esitano a far fallire banche di investimento, fondi speculativi o di compravendite”. Al congresso dei sindacati internazionali, la Cisl italiana è tra le poche organizzazioni che si è presentata con proposte concrete, come la tassazione dello 0,05% sulle transazioni finanziarie (Ttf, già nell’agenda del G20), che basterebbe a creare un gettito fiscale di oltre 750 miliardi di dollari, pari a ciò che è servito per salvare le banche americane. Una cifra che molti big si potranno permettere, dato che le risorse delle transazioni finanziarie corrispondono a 173 volte il pil mondiale e imboscano 13 miliardi di dollari nei paradisi fiscali. Far pagare alle banche il costo del loro salvataggio. È il principio alla base della cosiddetta bank levy, la tassa sul patrimonio e i ricavi degli istituti di credito, proposta da più parti come strumento di raccolta fondi. L’idea, sostenuta in primis dal segretario al Tesoro degli Stati Uniti Timothy Geithner, prevede l’introduzione di un’imposta capace di alimentare una sorta di fondo di garanzia cui attingere in caso di necessità. Di fronte a nuove esigenze di salvataggio, in altre parole, l’onere dell’intervento non spetterebbe più ai contribuenti ma, di fatto, alle banche stesse. La Tobin Tax (proposta dall’economista James Tobin negli Anni Settanta) era una tassa che riguardava esclusivamente gli scambi di valuta. Con la Ttf verrebbe invece ampliato il numero delle transazioni tassabili e con un tasso inferiore a quello della Tobin. Riguarderebbe tutte le transazioni finanziarie (scambi di azioni, obbligazioni, scambi valutari e contratti derivati) sia sui mercati regolamentati che over the counter (OTC); si applicherebbe limitatamente alle transazioni fra attori operanti abitualmente sui mercati finanziari. Le transazioni come pagamenti per beni e servizi, prestazioni lavorative, rimesse all’estero non sarebbero soggette alla Ttf. Prestiti interbancari a breve termine e tutte le ordinarie operazioni bancarie (prelievi, versamenti, bonifici, ecc.) sarebbero esclusi dall’applicazione della tassa. L’appello della Furlan torna così al G20 di Toronto, che “deve definire queste regole coinvolgendo il sindacato mondiale e rendendolo partecipante attivo nella governance del mondo”. Nel suo intervento, la segretaria confederale cita poi due esempi in cui questo già avviene, nell’Ilo e nel comitati economici e sociali, e come sempre mira alla concretezza, auspicando “risultati come il Patto globale per il lavoro, che riconosce la priorità del dialogo sociale, la libertà di associazione e di contrattazione”. Di nuovo, in Italia come nel mondo, la Cisl punta ad un “nuovo modello di relazioni industriali, che vedano nella partecipazione e nella effettiva responsabilità sociale la nuova formula per rafforzare diritti, pace, ambiente”. In pratica, rafforzare la democrazia e la cooperazione, superando un concetto di rappresentanza ormai quantomeno anacronistico. La delegazione Cisl al congresso sta registrando una massiccia presenza femminile di dirigenti: è il caso della segretaria confederale Furlan, che ha guidato la delegazione al posto di Bonanni; ma anche della segretaria confederale Liliana Ocmin; della responsabile Cisl Piemonte, Giovanna Ventura; della responsabile della Campania, Lina Lucci; della responsabile del Veneto, Franca Porto, solo per citarne alcune. Donne in posti di responsabilità, come quello che occuperà l’australiana Sharan Burrow, che domani sarà eletta segretario generale della Cis. A lei, gli auguri di Anna Maria Furlan, certa che “la sensibilità e la forza di una donna alla guida del sindacato mondiale saranno gli strumenti più giusti per affrontare le sfide di questo nostro tempo”. A lei la Cisl chiede di mantenere fermo l’impegno per il rispetto dei diritti umani e del lavoro in mondo e in Cina; il sostegno alle organizzazioni cinesi come il China Labour Bulletin e l’apertura al dialogo col sindacato ufficiale “a patto che si pronunci a favore della libertà di organizzazione sindacale e della contrattazione collettiva”; l’impegno nel sostegno del sindacato birmano clandestino; l’impegno per la pace tra Israele e Palestina e per il reciproco riconoscimento dei due stati; la garanzia di un futuro a giovani, donne e migranti per globalizzare i diritti. A questo proposito, nella giornata mondiale dei servizi pubblici, la Cis ha organizzato al di fuori del centro congressi una manifestazione. Tra le testimonianze più toccanti, quella di Jeong Huisebung, del sindacato coreano Kctu. Jeonh ha ricordato la repressione violenta in atto nel suo paese contro insegnanti e funzionari pubblici, nell’inosservanza totale delle norme internazionali. L’altro sindacato, il Kgeu – racconta il leader Yang Sung-yun – è stato addirittura dichiarato illegale dal governo, che sta attuando licenziamenti in massa nel settore pubblico. Ma anche quello privato non scherza. Le malefatte di Kia Motors stanno salendo alle cronache: il rombare dei motori copre il silenzio assordante delle violazioni dei diritti, umani e sindacali. Raffaella Vitulano 23 giugno 2010

LA SECONDA GIORNATA
Vancouver (dal nostro inviato) – La crisi non mette in ginocchio i Paperoni di tutto il mondo, il cui numero ha ripreso a salire soprattutto nei Paesi Bric (Brasile, Russia, India e Cina), e non c’è dunque da stupirsi se i governi dei Grandi fanno spallucce. Ma il sindacalista dissidente cinese Han Dong Fang ricorda ai microfoni di Conquiste che così le differenze tra ricchi e poveri si acuiscono. La politica del governo cinese, impostata sul fatto che la gente sia mero strumento di sviluppo dell’economia è dunque sbagliata. Gli scioperi della Honda Locks di Zhongshan e quello di Toyota a Tianjin, in Cina, ripresi da tutti i media mondiali, hanno sfondato il muro del silenzio. Ovunque, in tutto il mondo, giornalisti indipendenti rilanciano la verità dei fatti e le contraddizioni globali. Una su tutte. Nel corso di una riunione con una delegazione del gruppo delle Global Unions (le Federazioni internazionali di categoria) il primo ministro del Canada, Stephen Harper, che accoglierà il vertice del G8/G20 da domani fino al 27 giugno, sostiene di condividerne il punto di vista secondo cui i progressi in materia di regolamentazione finanziaria sono stati ad oggi deludenti. Tuttavia il premier si oppone alla tassa sulle transazioni finanziarie e promuove a passo deciso il libero scambio tra Canada e Colombia, accordo contro il quale i sindacati canadesi hanno lanciato una fortissima offensiva. Omicidi, impunità, crimini contro l’umanità, legami coi paramilitari, violazioni dei diritti umani e sindacali: ce n’è abbastanza in Colombia perché i canadesi mettano il veto. Ma il governo canadese, come gli altri, non nasconde le sue contraddittorietà che nei lavori della seconda giornata del congresso dei sindacati internazionali (Cis) emergono nella loro pienezza. Contraddizioni emerse anche dalla tavola rotonda in cui il direttore dell’Fmi, Strauss Kahn, e il direttore della Wto, Pascal Lamy, hanno tentato di conciliare le posizioni piuttosto inflessibili delle rispettive organizzazioni d’appartenenza con il socialismo (Lamy era nel gabinetto di Jacques Delors e Strauss Kahn era ministro di Jospin) di provenienza. Un equilibrismo davvero difficile che la platea ha poco compreso soprattutto su un punto: tassazioni sì, purchè tassati siano i profitti e i redditi piuttosto che le transazioni finanziarie. In teoria, “perché sono più difficili da evadere”, in pratica, un rattoppato compromesso con i leader di governo del G20 (ad esempio, Berlusconi) che di tassazioni proprio non vogliono sentire parlare. Il movimento sindacale internazionale è convinto che dopo decenni di ingiustizie sia giunto il momento che le persone – tutte senza distinzione, almeno questo è l’auspicio nello slogan del congresso – possano godere dei vantaggi della globalizzazione e che il percorso che seguirà la crisi dovrà condurre direttamente ad una giustizia sociale globale. Ma fuori dalle buone intenzioni, di certo per i sindacati di tutto il mondo la strada è in salita, come ben ricorda nella prima parte della sua relazione il segretario generale uscente Guy Ryder: “L’influenza che la Cis potrà esercitare dipenderà da quanto sarà in grado di realizzare, dalle sue capacità e da come riuscirà a coagulare le forze dei suoi affiliati a sostegno delle cause per le quali lotta… affinché la Cis divenga un efficace strumento di rappresentanza di tutti i lavoratori nell’economia globalizzata, la ragione fondamentale che ha portato alla sua creazione”. Il delicato tema della rappresentanza giunge in sala proprio mentre le delegazioni di Cisl e Cgil attendono con ansia a Vancouver i risultati del referendum tra i lavoratori Fiat a Pomigliano. L’aggiornamento dei dati sfianca. Il segretario Cgil, Epifani, seduto nella fila anteriore, dà segni di nervosismo, appare teso. Poi, coi risultati parziali di un 62,5% di sì contro il 37,5% di no all’accordo sul piano Marchionne, il leader Cgil cerca quasi con la delegazione Cisl una giustificazione a quel dato che potrebbe mettere a rischio migliaia di posti di lavoro: “La Fiom conta al massimo 500 iscritti là dentro, un 10%. Che possiamo fare per convincere Marchionne a restare? Dobbiamo discuterne, parlarne, rimetter mano all’accordo”. E mentre lui indugia ancora, il vicepresidente di Solidarnosc, Maciej Jankowski, mi racconta dello stabilimento di Tychy, mi dice della sua soddisfazione sull’attuale produzione; enfatizza montature della stampa costruite per accentuare divisioni tra lavoratori. Accetta di parlarne ma glissa con incerta diplomazia domande dirette e si trincera dietro un prudente “no comment” sui risultati del referendum. Si riserva prima di parlarne coi sindacati italiani. Sarà, ma ieri, intanto, mentre anche lui glissava, un gruppo di lavoratori dello stabilimento di Tychy ha scritto una lettera a quelli di Pomigliano per invitarli a non cedere, raccontando di condizioni disumane nello stabilimento polacco. In pratica, invitandoli a votare no all’accordo. Vicepresidente, la Polonia si aggiudicherà già il motore bicilindrico e un modello di segmento superiore, volete anche tutto il resto della produzione Fiat? Solidarnosc ha imparato molto dalla Cisl in termini di “solidarietà”: forse ora ha bisogno di qualche ripetizione. Raffaella Vitulano 22 giugno 2010

LA PRIMA GIORNATA DI LAVORI
Vancouver (dal nostro inviato) – Le polemiche sul G20 in corso a Toronto, il frastuono poliglotta dei tifosi sportivi d’ogni dove che invadono con le bandiere e i cori da stadio le tranquille strade del paese: così il Canada, e Vancouver in particolare, stanno accogliendo le ultime manciate di delegati al secondo congresso della confederazione internazionale dei sindacati (Cis). “Downtown”, in centro, schermi piatti in ogni bar o vetrina o ufficio. Un’occhiata all’attività principale, un’occhiata alla squadra del cuore. Anche qui, come a Pomigliano e in tutte quelle realtà dove la crisi sta decimando i posti di lavoro. O almeno, tra quelli che resistono – fuori da ogni tempo e da ogni logica globale – al cambiamento necessario e improcrastinabile. Quest’anno Vancouver ha già ospitato le Olimpiadi invernali, e ne sanno qualcosa i pupazzi “ufficiali” di peluche ancora esposti in saldo nei negozi. Tuttavia, non esiste nessun evento sportivo internazionale che alimenti le emozioni in ogni parte del globo al pari dei Mondiali di calcio. Anche qui, al Vancouver Congress Center, lavoro e prato verde si strizzano l’occhio. In India, nonostante il paese non abbia mai partecipato alla competizione, la Coppa del Mondo di football sta rinvigorendo le rivalità tra i guidatori di risciò. Nella regione del Kerala l’appartenenza ad una fazione o ad un’altra si dimostra dipingendo il proprio risciò coi colori del Brasile o dell’Argentina; samba contro tango: questa è musica, altro che i flauti degli incantatori di serpenti. I Serbi intanto meditano di battere gli Usa nel secondo turno e ad Haiti la passione per il Brasile aiuta a rimuovere per qualche istante lo choc del terremoto. Si raccontano storie, in sala stampa, che aiutano a capire l’interdipendenza sociale di sport e tessuto produttivo. Un filo, neppure troppo sottile. Una matassa dipanata dai colori simbolici dell’una o dell’altra squadra. Il calcio unisce quello che la crisi divide e schiera su fronti contrapposti. Il tracollo finanziario ha provocato una crisi sociale e occupazionale senza precedenti. Sfioreranno solo l’argomento i Grandi che si riuniranno a Toronto. Forse solo l’elettrizzato affittacanoe Steve MacAllister di Huntsville (che ospiterà in ristretta il G8) sembra soddisfatto dell’evento, dato che la sua società è stata selezionata per offrire un gentile omaggio ai leaders. Rilascia dichiarazioni alla stampa di tutto il mondo, entusiasta dell’evento. E fa bene a farlo: si goda il momento, dato che la riunione ristretta è ormai dai più considerata inutile rispetto a quella più realisticamente rappresentativa del G20. Sharan Burrow, per qualche spicciolata di ore ancora presidente della Cis prima di essere eletta segretario generale, vede già dal palco “segnali negativi” in vista del vertice di Toronto: “La maggioranza dei leaders chiede il ritorno al consenso di Washington; un’inversione brusca di tendenza, premessa di contrazioni in bilancio per tornare alla parità. Si propone che il dolore inferto a lavoratori pubblici, pensionati, operai, sia inflitto a tutti i lavoratori del mondo da fanatici che non sono mai stati in una fabbrica, negli ospedali, in miniera, e che vedono in ogni regolamentazione sociale un ostacolo allo sviluppo”. Il premier greco George Papandreu interviene in diretta in sala dagli uffici Ilo a New York e denuncia: “La crisi non dipende da sistemi di previdenza sociale sbagliati, ma dalla sregolatezza dei mercati e dall’assenza di trasparenza dei governi”. In tutto il mondo sono così andati perduti 34 milioni di posti di lavoro, mentre 64 milioni di persone sono state spinte verso la povertà estrema e 1,1 miliardi di dollari sono stati spesi per salvare istituzioni con una forte responsabilità per l’accaduto. Il bilancio relativo alla perdita di posti di lavoro continua ad aggravarsi e le prospettive di un effettivo ritorno alla stabilità finanziaria sono tutt’altro che certe. “Inevitabilmente politici e commentatori appaiono divisi nelle rispettive previsioni, ma – sottolinea il segretario generale uscente Guy Ryder nella prima conferenza stampa del congresso – coloro i quali, ispirati dalla ripresa delle borse e dal risorgere dei profitti bancari, dovessero descrivere la situazione attuale come caratterizzata da una ripresa dai connotati forti dimostrerebbero di non comprendere affatto la natura della crisi o i costi umani da questa causati”. I sindacati internazionali fanno in questi giorni il bilancio delle macerie causate dai guru di una Wall street esasperata ed esagitata, dai santoni di una religione affaristica bruciata dalla tracotanza ma che ancora arde nel braciere dei policy makers di spiccia formazione. I delegati che partecipano al secondo Congresso Mondiale della Cis provengono da paesi che tutti, sebbene in modalità e in misure differenti, sono stati colpiti dall’impatto della crisi globale. Per i popoli che loro rappresentano ciò ha spesso significato duri sacrifici e una grande insicurezza. Per il sindacato tutto ciò ha riacutizzato vecchi problemi e ne ha aggiunti di nuovi. Poiché molte delle cause della crisi appaiono fortemente correlate con il mondo del lavoro e dato che molte di queste sono di natura globale, il movimento sindacale internazionale deve affrontare sfide specifiche, che comportano sì alcune opportunità, ma soprattutto responsabilità. In pratica: riusciranno i sindacati, a livello nazionale e globale, a definire un modello di rappresentanza adeguato alla trasformazione del mondo del lavoro? Un New Deal di cui in Italia la Fiom, ad esempio, non saprebbe al momento tracciare né fini, né target né strumenti. Raffaella Vitulano 21 giugno 2010 *

Dominique Strauss-Kahn, Direttore Generale del Fondo Monetario Internazionale e Pascal Lamy, Direttore Generale dell’Organizzazione Mondiale per il Commercio (Wto), parteciperanno ad una delle tavole rotonde che si svolgeranno al secondo congresso della Confederazione Internazionale dei Sindacati (Cis) che si apre stasera a Vancouver con il titolo: “E adesso le persone. Dalla Crisi alla giustizia Globale” . Temi del confronto, al congresso, saranno soprattutto la ripresa e l’occupazione, il fallimento delle speculazioni finanziarie internazionali e le ripercussioni sulle “persone”. Attenzione alla gente, dunque, e basta con gli inghippi, i maneggi e le architetture roboanti speculative. La Cis comprende oggi 176 milioni di affiliati appartenenti a 311 organizzazioni sindacali di 155 paesi. Al secondo congresso mondiale (quello fondativo si tenne a Vienna quattro anni fa), Guy Ryder, l’attuale segretario generale, eletto nel 2002, proveniente dal Tuc inglese, lascerà l’incarico. Guy Ryder nel 2006 aveva promosso l’unificazione tra la Confederazione Internazionale dei Sindacati Liberi (Icftu, l’ex Cisl Internazionale), la Confederazione Mondiale del Lavoro (Cmt, i sindacati cristiani) ed altri sindacati indipendenti. Al suo posto sarà eletta per la prima volta una donna, Sharan Burrow, attuale Segretario generale del sindacato australiano Actu, il Consiglio dei Sindacati Australiani. Sharan Burrow aveva esercitato fino ad ora la funzione di Presidente della Cis, funzione che ora verrà assunta dal Presidente del Dgb tedesco, Michael Sommer. La Cis conta 37 Vicepresidenti onorari. Attualmente e fino al Congresso, per l’Italia Raffaele Bonanni. Al Congresso subentrerà Luigi Angeletti. 

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