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Sentenza consulta n.251/2016: incostituzionale la legge delega di riforma della dirigenza pubblica

La Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale la legge delega di riforma della dirigenza pubblica. Mediante la sentenza n. 251/2016 ha dichiarato 1) l’illegittimità costituzionale dell’art. 11, comma 1, lettere a), b), numero 2), c), numeri 1) e 2), e), f), g), h), i), l), m), n), o), p) e q), e comma 2, della legge 7 agosto 2015, n. 124 (Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche), nella parte in cui prevede che i decreti legislativi attuativi siano adottati previa acquisizione del parere reso in sede di Conferenza unificata, anziché previa intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni.
 
La legge delega Madia, ha stabilito la Corte, è “parzialmente illegittima” perché lede in alcuni punti chiave l’autonomia delle Regioni: su dirigenti pubblici, organizzazione del lavoro, società partecipate e servizi pubblici locali. I decreti di attuazione infatti, in gran parte già approvati dal governo, hanno bisogno di una “intesa” con i governatori in Conferenza Unificata, non di un semplice «parere». 
 
La bocciatura è arrivata il giorno dopo l’approvazione definitiva di ben cinque decreti attuativi della riforma Madia, tra cui quello sulla dirigenza~e l’altro sui servizi pubblici locali, oggi di fatto bollati come incostituzionali dalla Corte. La pronuncia della Consulta arriva a un anno e qualche mese dall’entrata in vigore della legge Madia, il ricorso della Regione Veneto era stato presentato nell’ottobre dello scorso anno.
 
Tutto da rifare quindi? 
Ci sono diverse ipotesi e possibilità.
Senz’altro la legge delega deve cambiare. E a ricasco anche tre su quattro dei decreti delegati incriminati. Si salva solo il testo unico del pubblico impiego, ma solo perché non ancora approvato dal Consiglio dei ministri (c’è tempo fino a febbraio). Mentre gli altri tre (dirigenti, partecipate, servizi pubblici) devono di fatto essere riscritti. E questa volta non basterà il mero parere delle Regioni.
 
Per i decreti che sono già in circolazione si potrebbe intervenire con dei correttivi, che recepirebbero gli accordi da raggiungere con le Regioni. Lavoro che potrebbe risultare poi non così complesso, visto che i decreti in questione hanno in buona parte assorbito le osservazioni della Conferenza unificata. Per quelli che devono venire, e stiamo parlando del Testo Unico sul pubblico impiego, invece i tempi per adeguarsi alla sentenza ci sono (fino a febbraio). Tuttavia il rischio caos non manca.
 
C’è anche l’ipotesi di un ritiro per i decreti sulla dirigenza pubblica e sui servizi pubblici locali, approvati giusto ieri in Consiglio dei Ministri. Potrebbero essere bloccati in uscita e il “timbro” del Quirinale per questi diventerebbe superfluo. Invece per i decreti già pubblicati in Gazzetta Ufficiale, in vigore, quelli sulla razionalizzazione delle partecipate pubbliche e sui licenziamenti lampo per i furbetti, l’ipotesi di correttivi potrebbe non risultare sufficiente lasciando spazio all’alternativa del ritiro.
 
Questa bocciatura non fa altro che aumentare la confusione in cui già stavano operando gli enti locali, soprattutto in tema di gestione del personale. Molte società partecipate, infatti, avevano già bloccato nuove assunzioni in attesa di maggiori specifiche da parte del Governo.
 
Come Cisl chiediamo chiarezza e tempi brevi di risoluzione, troppi sono i posti di lavoro in gioco, troppe le persone che non possono vivere mesi di incertezza. Inoltre in questo modo, si rischia di mettere a rischio la gestione efficiente dei servizi pubblici locali, che rivestono notevole importanza nella vita quotidiana di ogni comunità.

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