Introduzione al lavoro dei disabili: cosa cambia con il Jobs Act?

Pubblicato il 1 Ott, 2015

Il Consiglio dei Ministri ha approvato in via definitiva i decreti attuativi del Jobs Act che ridefiniscono l’accesso al lavoro delle persone con disabilità.
Un traguardo importante visto che si è intevrenuti per fare chiarezza su alcuni istituti previsti dalla legge 68/99, che riguarda il collocamento mirato, ma anche di innovare e semplificare alcune parti della stessa ormai datate.
Cosa cambia in sostanza? Con il decreto attuativo “Disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità”, viene modificata la disciplina del collocamento mirato per i disabili. Innanzitutto la modalità di “chiamata” dei lavoratori disabili e gli obblighi di assunzioni riservate per le aziende.
Se, precedentemente all’attuale decreto, l’obbligo per le aziende di assumere un lavoratore disabile scattava dai 15 dipendenti solo nel caso di nuove assunzioni, con il nuovo decreto, a partire dal 2017, il semplice fatto di avere dai 15 ai 35 dipendenti impone al datore di lavoro di avere alle proprie dipendenze lavoratori disabili, in numero pari a quanto previsto dalle quote stabilite. Stesso obbligo viene applicato a partiti, sindacati e associazioni senza scopo di lucro. Insomma si tratta di inserire la persona giusta al posto di lavoro giusto, superando il principio di mero obbligo di rispetto dell’aliquota.
Inoltre le aziende potranno poter conteggiare, nella quota di riserva, lavoratori divenuti disabili durante il rapporto di lavoro che abbiano una riduzione della capacità lavorativa superiore al 60%, o al 45% se si tratta di disabilità psichica, anche se non sono stati assunti tramite il collocamento obbligatorio.
Ed ancora, la riforma degli incentivi per l’assunzione, che vanno dal 35% al 70% della retribuzione, con una particolare attenzione alla loro durata prolungata nel tempo e a quelli rivolti ai lavoratori con disabilità psichica o intellettiva per i quali l’incentivo è del 70% della retribuzione mensile lorda per 60 mesi sia per assunzioni a tempo determinato che indeterminato. Analogo incremento del 10% si applica per coloro che si trovano in condizioni di ‘media’ disabilità (comunque superiori al 67%). In tutti gli altri casi, invece, lo sgravio contributivo è previsto soltanto per le assunzioni a tempo indeterminato e per la durata di 36 mesi. Viene modificato anche l’accesso agli incentivi, con la corresponsione diretta e immediata al datore di lavoro da parte dell’ INPS.
Altra novità: l’istituzione della Banca Dati del collocamento mirato, che consente di raccogliere e incrociare numerose informazioni di flusso sul lavoro delle persone disabili e l’introduzione del finanziamento forfettario parziale di tutti quegli “accomodamenti ragionevoli”, previsti dalla Convenzione ONU, che consentano la valorizzazione del lavoro delle persone disabili senza comportare oneri sproporzionati alle imprese.
Molto si è parlato di queste novità introdotte dal Jobs Act in materia di disabilità, spesso in toni polemici, frutto di equivoci interpretativi e analisi non aggiornate delle norme. La Cisl, unitamente a UICI (Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti) e FISH (Federazione Italiana Superamento Handicap), si è pronunciata in modo favorevole: «Il testo è mirato a evitare le elusioni, a favorire l’ingresso e la permanenza al lavoro, a potenziare il ruolo di mediazione dei servizi per l’impiego, a garantire una più forte attenzione alle disabilità con maggiori compromissioni funzionali, in particolare di natura intellettiva e psichica, a prevedere un rafforzamento degli incentivi alle aziende”.
Certo anche per la Cisl permangono delle criticità e delle lacune come ad esempio la necessità di circoscrivere con maggiore puntualità gli ambiti oggetto di esclusione dal computo e di inserire un criterio di proporzionalità nelle procedure di sospensione in caso di crisi, ma anche la mancata previsione di un raccordo tra l’analisi dei posti di lavoro da parte dei servizi competenti e l’azione degli organismi bilaterali interni ai luoghi di lavoro, anche con riferimento agli accomodamenti ragionevoli; la definizione del “responsabile dell’inserimento” non come una figura manageriale ma come un organismo a presenza bilaterale di derivazione contrattuale, in coerenza con il Programma d’azione biennale vigente (DPR 4 ottobre 2013); la possibilità per le parti sociali di accedere alla Banca dati del collocamento mirato, con l’intento di consentire una loro valorizzazione nella direzione di attivazione di politiche attive per l’inserimento. Infine, desta molte perplessità la definizione dell’”assunzione diretta” tra le modalità di inserimento di lavoratori disabili, in quanto l’assenza di interlocuzione con i servizi competenti del territorio risulta essere una scelta difficilmente comprensibile, molto lontana dalle esperienze e dalle esigenze reali di persone, imprese e servizi.

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