Emilia Romagna. Ugc Cisl: “Agricoltura ai vertici italiani tra Modena e Reggio, ma in situazione drammatica”

Modena e Reggio Emilia, 24 settembre 2015 – E’ Sos agricoltura per il mondo imprenditoriale che esprime il meglio del made in Italy e dell’export regionale. E’ l’esempio delle province gemelle Modena e Reggio che, assieme, producono equamente un valore di produzione agricola di 1,6 miliardi di euro, per il 60% dovuti alla filiera del Parmigiano Reggiano.
“Eppure i nostri uffici – denuncia Giuseppe Carini, presidente dell’Ugc Cisl Emilia – osservano un continuo e inarrestato calo delle aziende agricole, sia in termini numerici che di fatturato e, quindi, anche della redditività a fronti di costi che sono costanti o in tendenziale aumento”.
“Le aziende agricole che monitoriamo, ad esempio tra Modena e Reggio – osserva il responsabile della Unione generale coltivatori della Cisl, associazione attiva da Modena a Piacenza – nonostante la crisi fosse già iniziata hanno incrementato, a partire dal 2013, i costi del 10%, mentre la redditività si è ridotta sino al 30%, in particolare nel comparto zootecnico. Non è esagerato parlare di crisi drammatica, se si considera che, a differenza del passato, a dichiarare fallimento sono le stesse aziende agricole: calate in un anno di quasi il 4% le produzioni di Parmigiano Reggiano negli appennini Bolognesi, Modenesi e Parmensi”.

IL PARMIGIANO REGGIANO E I SUINI
“Le aziende, in generale – aggiunge Carini – si trovano in difficoltà di reperire liquidità e perdurano prezzi stagnanti della produzione, questo vale per il mondo del Parmigiano Reggiano e della suinicultura (decimata per volontà esterne al mondo produttivo): molte, troppe le aziende sul lastrico. Chi produce latte per Parmigiano Reggiano sta creando tra i 10-15 centesimi al litro sotto il prezzo di costo. Un fenomeno che è aggravato per la montagna, territorio marginale nel crinale e svantaggiato nel produrre. Le conseguenze sono l’abbandono del territorio che vediamo nei Comuni più alti e causa di rischio idrogeologico o imboschimento selvaggio”.
“E’ chiaro – entra nel dettaglio il presidente – che il Parmigiano Reggiano sconta l’incapacità cronica di affrontare il mercato, ma anche di gestire il proprio destino. Osservo con rammarico il fatto che a fronte di produzioni a fatica contenute attorno ai 3 milioni di forme all’anno facciano da contraltare ai 4,8 milioni di forme del Grana Padano: con una differenza sostanziale, loro ne producevano 2,8 milioni 20 anni fa, e noi pressappoco la stessa quantità di oggi (400 mila forme in più): hanno conquistato fette di mercato che noi non abbiamo saputo cogliere”.
“E il fatto che l’anello debole della filiera resti il mercato (a danno di produttori e consumatori, a beneficio di venditori finali e commercianti/stagionatori) lo dimostra la differenza abissale tra prezzi di produzione (7,5 euro) e di vendita al consumo (20 euro), rilevati dal Clal, nel 2015 a Milano: il prezzo finale del Parmigiano Reggiano è aumentato del 18% dal 2009, ma gli agricoltori oggi stanno prendendo gli stessi soldi del 1999! L’incapacità di controllare il mercato e il perdurare della crisi, oltre all’esigenza di contenere i costi di produzione, spiegano anche come mai si siano persi 64 caseifici dal 2009 ad oggi”.

L’ORTOFRUTTA
Tipica del comporto modenese è l’ortofrutta che vale 124 milioni di euro a Modena e oltre 10 milioni di euro a Reggio Emilia: “E’ mancata in larga parte la capacità di fare rete aggregarsi e creare valore e la corretta ridistribuzione fino al produttore. Abbiamo visto che la Gdo spesso ne ha approfittato strozzando il produttore,che comunque deve raccogliere il frutto ‘pendente’. I costi di produzione (manodopera, energetici e imposte) sono elevati rispetto al resto dell’Europa e non sono concorrenziali ai Paesi che si affacciano sul Mediterraneo riferendoci alle ortive. C’è un costo aggiuntivo della burocrazia che non ci stanchiamo di denunciare, dato che la produzione e la crescita dei controlli più che semplificare complicano. A questo poi si aggiungono nuovi fenomeni stagionali, calamità: siccità, trombe d’aria, bombe d’acqua, grandinate… e, quindi, il mercato globale. Da rilevare i fitopatogeni, come la cimice asiatica che attacca la frutta nello specifico la pera Abate fetel, con danni sopra le due cifre sulla percentuale del prodotto. Il caso dell’aggregazione di cooperative per il mondo delle pere come Opera credo sia la strada da seguire anche all’insegna di una competenza e di una professionalità ‘diversa’”.

PROSPETTIVE
“Le proposte dell’Unione Europea che ha convocato una riunione del Comitato speciale agricolo, in vista del Consiglio dei ministri, sono condivisibili ma devono essere urgenti. Una risposta straordinaria che deve giungere anche alle nostre aziende”, riprende Carini.
Rivolto al Bologna, aggiunge “Sappiamo che la Regione Emilia Romagna si è impegnata nel reperimento di fondi: operazione essenziale dato che ad oggi le aziende non ne hanno e hanno un grosso problema di liquidità. Il nuovo Piano di sviluppo rurale 2014 – 2020 è quasi superiore a quello precedente, si creano, certo, molte aspettative, ma sono tante e tali le esigenze dei settori agricoli che, purtroppo, non riteniamo siano ad oggi sufficienti per dare risposta alle esigenze economiche a un settore in condizione di grave sofferenza. 1 miliardo e 90 milioni di euro, però distesi su 6 anni, tra le diverse province, tra i diversi bandi rischiano di non lasciare il segno”.
In sintesi: “le strade da percorrere sono quella di migliorare la redditività mirando a giungere direttamente al consumatore finale con il controllo consapevole del mercato”.
Tra le proposte di Carini: “Credo occorra riconsiderare un nuovo ruolo con le Università per ricercare nuovi mercati. Se penso a Giurisprudenza immagino possano concretamente mettere a disposizione le normative per il Commercio e la valorizzazione dei brevetti. Se penso ad Agraria da questa mi aspetto la diffusione delle conoscenze sulle migliori modalità di produrre. Se ci rivolgiamo a Scienze della Comunicazione alle migliori modalità per fare marketing. Diciamocelo: è un ruolo molto flebile oggi e abbiamo evidenti potenzialità inespresse. Ci sono esempi nella ceramica che già funzionano”.

GIOVANI IN AGRICOLTURA
“Il premio di primo insediamento per i giovani è stato ridotto da 70 mila euro a 30 mila euro, un fatto che può essere positivo se questo serve a insediare un maggiore numero di giovani in un settore che ha un’età media alta”.
Che dire dei lavoratori che in questi mesi stanno rientrando in agricoltura? Sono effettivamente agricoltori? “Fatto salvo il caso di giovani che prendono il premio di primo insediamento e si impegnano a essere agricoltori per i prossimi 5 anni, osserviamo anche il fenomeno di giovani che rientrano in agricoltura in questi anni crisi, ma solo come coadiuvanti ‘sulla carta’, con contributi pagati ma, in realtà, in attesa di trovare una nuova occupazione”.

Ufficio Stampa Cisl Emilia Centrale

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