Emilia Romagna. No di Cgil Cisl Uil Modena a riapertura Centro permanente rimpatri (Cpr ex Cie). “Scelta sbagliata, servono tempi rapidi per l’identificazione e politiche di inclusione”

10 Aprile 2018 –  “Si prosegua il lavoro di impegno comune tra istituzioni del territorio, associazionismo, volontariato, cooperazione sociale seria e affidabile, che ha rappresentato i punti cardine delle azioni efficaci realizzate in questi anni in Emilia-Romagna a tutti i livelli”. Così Cgil, Cisl, UIl  di Modena esprimono contrarietà circa la decisione del governo di riaprire l’ex Cie di Modena, denominato Centro permanente per i rimpatri (Cpr) e destinato a diventare punto di riferimento regionale. Avevamo già bocciato il Cie in quanto struttura inutile e costosa” sottolineano Manuela Gozzi, segretario provinciale Cgil Modena), William Ballotta, segretario generale Cisl Emilia Centrale e Luigi Tollari (segretario Uil Modena e Reggio Emilia) in vista dell’apertura, prevista entro l’estate, del centro rimpatri di via Lamarmora a Modena. “Servono percorsi di inclusione e interventi innovativi e responsabili in grado di dare risposte concrete al tema delle povertà, per il diritto al lavoro dignitoso e la piena cittadinanza. «La riproposizione di ricette vecchie e fallimentari non risponde alla legittima domanda di sicurezza della popolazione, rischia di fomentare odio e intolleranza sociale, dimostra l’incapacità di riuscire a trovare soluzioni che – concludono Manuela Gozzi (segretario provinciale Cgil Modena), William Ballotta (segretario generale Cisl Emilia Centrale) e Luigi Tollari (segretario Uil Modena e Reggio Emilia) – sappiano salvaguardare un modello di convivenza che ambisca all’integrazione e convivenza pacifica di tutti gli individui”.

Già in passato infatti i sindacati avevano espresso assoluta contrarietà verso strutture di questo tipo. “I vecchi Cie, oggi Cpr, si sono rivelati luoghi dove sono stati troppo spesso violati i diritti umani e la dignità delle persone – dicono i segretari di Cgil Cisl Uil – Luoghi che producono solo una lunga e inutile detenzione, ma non risolvono il problema dell’identificazione: senza il riconoscimento e la conferma da parte dei Paesi di presunta origine, infatti, le persone non si possono rimpatriare. Nei vecchi Cie si era creata una difficile convivenza tra pregiudicati e semplici clandestini in attesa di identificazione, che spesso durante i mesi di detenzione diventavano vittime dei malavitosi. È indubbio che tempi troppo lunghi per l’identificazione creino situazioni di tensione e difficile gestione dei fenomeni migratori e su questo bisogna certamente intervenire, ma un centro di detenzione non è la risposta. Servirebbe, invece, ragionare sulle modalità di trattenimento per coloro che hanno commesso reati con provvedimento di espulsione fino al momento del rimpatrio”.

Per i sindacati la riapertura dell’ex Cie ripropone i vecchi schemi che si sono rivelati un danno sia per le persone ospitate che per la collettività. Non sono chiare quali sono le possibili condizioni per utilizzare tale struttura, quali attività verranno svolte e con quali criteri, quante persone saranno accolte all’interno della struttura, quali possibilità avrà il territorio e la sua rappresentanza (gli enti locali e le associazioni) per verificare il rispetto della dignità delle persone presenti e un trattamento adeguato, quali saranno le condizioni di gestione e le caratteristiche della struttura, a oggi è tecnicamente inadeguata. Infine, non per ultimo, non è chiaro con quale organico eventualmente si affronterebbe questa riapertura, considerato che da una previsione dei sindacati di polizia occorrerebbero rilevanti adeguamenti per garantire un regolare del presidio di questa struttura.

“Vista la situazione, non ci sono a nostro avviso le condizioni per una riapertura del Cpr – affermano Gozzi, Ballotta e Tollari – Questi centri, come evidenziato in passato, richiedono un elevato numero di agenti e ciò rischia di drenare tutte le risorse della sicurezza a disposizione del territorio. Una struttura di questo tipo è già stata sperimentata nel nostro territorio e si è rivelata una scelta sbagliata e fallimentare. Purtroppo si continua a ricadere nella logica emergenziale, mentre siamo convinti che l’unica strada possibile sia attivare una risposta e un coinvolgimento europeo attraverso politiche sociali diverse da quelle attuali: dobbiamo imparare a progettare l’accoglienza, non a gestire solo l’emergenza. Soprattutto il territorio e la comunità locale devono essere ascoltati e informati per poter esprimere la loro posizione su quanto si intende fare in questi centri”.

www.cislemiliaromagna.it

Condividi