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Scuola. Gissi (Cisl): “Agli studenti non serve compiacenza ma confrontarsi con adulti che si comportano da adulti”

Pubblicato il 16 Feb, 2022
Gli immaturi siamo noi. Ce lo hanno gridato gli studenti per le vie di Roma, un paio di settimane fa, e un po’ hanno ragione. Hanno ragione quando di fronte a sé trovano “adulti” che, invece di dialogare con loro apertamente, dicendo con chiarezza ciò che delle loro proteste condividono o non condividono, preferiscono esibirsi in una generica compiacenza, spinti da un riflesso pavloviano che li porta ad assecondare, a prescindere, ogni minimo rumore di piazza.
A quei ragazzi, che meritano – e hanno bisogno – di confrontarsi con adulti in grado di esserlo responsabilmente, noi diciamo che hanno molte ragioni.
Le hanno quando lamentano l’impegno inadeguato del Paese per la sua scuola, che dovrebbe essere soprattutto la loro scuola.
Hanno ragione quando denunciano le insufficienze, le approssimazioni, le latitanze emerse in due anni di pandemia, nei quali non si è riusciti a fare in modo che il loro stare a scuola, ma anche il loro andare e tornare da scuola, potesse avvenire in condizioni di sicurezza che aule e mezzi di trasporto meno affollati (tanto per citare due criticità mai del tutto risolte) avrebbero potuto consentire.
Hanno forse un po’ meno ragione quando la loro opposizione alle modalità di svolgimento dell’esame di Stato scivola verso la rivendicazione di una maturità all’acqua di rose, forse non cogliendo fino in fondo quanto sia importante non deprezzare ulteriormente un esame al quale già molti, oggi, concedono assai poco credito. Possono chiedere, questo sì e con molta ragione, che sia centrale il ruolo dei consigli di classe nel valutare l’incidenza delle difficoltà affrontate in questi mesi sulla qualità e la quantità degli apprendimenti, difficoltà ben note a chi dovrà valutarli, avendole condivise nello svolgimento del proprio lavoro in percorsi di studio così tormentati.
Nessuna ragione può essere invece riconosciuta quando, di fronte a recenti e tragici eventi, come la morte di coetanei impegnati in attività di stage lavorativo, se ne addebita la colpa all’alternanza scuola lavoro. Un corto circuito logico inammissibile, che non può essere né condiviso, né assecondato.
Del tutto lecito contestare una modalità didattica da sempre oggetto di discussione, ancorché diffusa e praticata in tanti altri Paesi, e che per alcune filiere formative – tra cui quelle frequentate dai due poveri ragazzi vittime di incidenti mortali – è addirittura imprescindibile. Un conto è pretendere – cosa assolutamente doverosa – che in ogni luogo di lavoro siano garantite a tutti le condizioni di sicurezza previste per legge a tutela delle persone. Ma guai a fare di queste morti il pretesto per condannare una metodologia didattica non apprezzata, o dire che tutto ciò accade perché la scuola “è stata trasformata in un’azienda”. Sono molti di più gli incidenti, a volte mortali, capitati in occasione di viaggi di istruzione: una buona ragione per abolirli?
Ci ha sorpresi e indignati la durezza con cui, in recenti manifestazioni studentesche, sono intervenute le forze dell’ordine, un comportamento sulle cui ragioni si esige giustamente di avere spiegazioni nelle sedi dovute. Non dovrebbe mai accadere, in democrazia, che a una libera espressione del pensiero si risponda a colpi di manganello. Non si fa azione educativa in questo modo nei confronti delle giovani generazioni. Ma non la si fa nemmeno assecondando per convenienza, per ipocrisia o compiacenza slogan e rivendicazioni meritevoli di una franca, aperta e onesta dialettica. Quella che proprio e anzitutto all’interno della scuola dovrebbe essere ricondotta, trovando in essa il luogo più opportuno e appropriato per svolgersi, al riparo da ogni possibile strumentalizzazione.
Trattiamoli in ogni caso da adulti, i nostri giovani ormai alle soglie della maturità, comportandoci da adulti.

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