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Toscana. Caporalato: in Maremma oltre 3mila coinvolti. Metà impiegati sul posto, il resto nelle altre province: 25-30 euro per 10-12 ore di lavoro

13 gennaio 2016. Nelle province di Grosseto e Siena le ultime verifiche dicono che il caporalato è un fenomeno molto più preoccupante di quanto si potesse pensare. “Nel grossetano sono oltre 3000 i lavoratori coinvolti in un vero e proprio mercato nero delle braccia, più della metà nella raccolta dell’uva in Maremma, mentre il resto va a lavorare nelle altre province.” Sono alcuni dei dati resi noti stamani dalla Fai, il sindacato del settore agroalimentare e ambientale della Cisl, che ha organizzato sul tema un convegno a Grosseto a cui hanno partecipato rappresentanti delle organizzazioni agricole e delle istituzioni, oltre all’Assessore regionale Marco Remaschi e al Commissario della Fai nazionale Luigi Sbarra. “Nelle aziende vitivinicole – ha detto nella sua relazione Antonella Biondi, segretaria Fai-Cisl di Grosseto e Siena – vengono impiegati soprattutto immigrati dall’Africa e dall’Asia, lavoratori che in estate fanno i venditori sulle spiagge del Lazio e della Campania e a inizio autunno si spostano nelle nostre zone. Lavorano quasi sempre al nero, per un massimo di 40 euro al giorno (ma più spesso per 25-30) per 10-12 ore.” In base a “testimonianze drammatiche” ha aggiunto Biondi sappiamo che “a questi soldi vengono tolti anche 5 euro giornalieri per il trasporto sul luogo di lavoro, 1,5 euro per una bottiglietta dell’acqua, 3,50 euro per il pasto e circa 250 euro al mese per l’affitto dell’alloggio, che molto spesso è fatiscente e dentro il quale vivono ammassati anche in 20.” “Addirittura – ha aggiunto la sindacalista – qualcuno mi raccontava che non vengono nemmeno effettivamente retribuiti, in sostanza è come se lavorassero a costo zero, ogni tanti giorni il caporale gli allunga un pacchetto di sigarette e una bottiglietta di birra. In più il caporale si impossessa dei loro documenti, privandoli completamente della loro libertà, e dall’importo che percepiscono dall’Inps per la disoccupazione agricola; gli devono restituire sempre la parte relativa ai contributi che questo ha versato all’Inps in base alle giornate che gli vengono scaricate, di solito un centinaio annue anche se in realtà lavorano tutto l’anno.” Un “cancro” quello del lavoro nero e del caporalato, ha spiegato Biondi, che, a differenza del passato, è esteso a tutta l’Italia e danneggia “i lavoratori, lo Stato (600 milioni annui stimati di evasione contributiva), ma anche le imprese agricole in regola.” Citando un’indagine dell’Antitrust, Biondi ha anche sottolineato il ruolo della grande distribuzione nell’imporre ai produttori prezzi bassi, che comprimono la redditività e creano condizioni favorevoli a fenomeni degenerativi nell’impiego della manodopera. La Fai apprezza il disegno di legge in materia approvato dal Consiglio dei Ministri a novembre, che rappresenta “finalmente un passo avanti cruciale”, perché contiene “un intervento organico che rafforza le norme penali e amministrative e finalmente chiama a rispondere anche le aziende”. Da solo però, avverte il sindacato, non può bastare: “questa piaga –ha aggiunto Biondi, rivolta agli interlocutori del settore, “si può sanare solo tutti insieme, ognuno per quello che rappresenta”, “mettendo a punto un patto di emancipazione dell’intero settore agricolo, in grado di distinguere chi opera in condizioni di sfruttamento da chi produce nella legalità, che rappresenta la stragrande maggioranza.”

Ufficio stampa Cisl Toscana

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