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9Bologna, 1° maggio 2019 – E’ arrivato in piazza Maggiore, a Bologna, il corteo della Manifestazione nazionale indetta da Cgil, Cisl, Uil per la Festa dei lavoratori, che quest’anno si svolge nella città delle Due Torri. Migliaia le persone partite da Piazza XX Settembre che, percorrendo  via Indipendenza, via Rizzoli, piazza Re Enzo, sono arrivate in Piazza Maggiore per ascoltare, a partire dalle ore 12.10, i comizi conclusivi dei Segretari Generali, Maurizio Landini, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo. Alla testa del corteo lo striscione ‘La nostra Europa: lavoro, diritti e stato sociale’ tema centrale dell’evento. Presenti al corteo anche rappresentanti delle istituzioni locali come il sindaco di Bologna, Virginio Merola e il presidente della Regione Emilia Romagna, Stefano Bonaccini.

“Grazie di cuore per essere intervenuti in tantissimi a riempire questa bella piazza con la vostra voglia di partecipare e con le vostre bandiere”. Cosi la Segretaria Generale della Cisl Annamaria Furlan ha salutato, nel suo intervento a Bologna per il Primo Maggio, i trentamila partecipanti alla manifestazione di Cgil Cisl Uil.
“Da Bologna -ha proseguito- abbracciamo le migliaia di lavoratori, lavoratrici, pensionati, pensionate, disoccupati e disoccupate che nelle altre piazze d’Italia, Europa e del Mondo festeggiano il Primo Maggio affermando che il lavoro unisce e dà dignità.
Il 9 febbraio scorso -prosegue la Segretaria generale della Cisl- eravamo in Piazza S. Giovanni a Roma per la grande manifestazione nazionale di Cgil Cisl Uil, oggi dopo settimane di mobilitazione e iniziative in tutto il Paese, ci ritroviamo insieme per vivere un giorno importante: la festa del lavoro, di tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori, di tutti gli uomini e le donne del Nord e del Sud, delle diverse generazioni, di qualsiasi cultura o fede, qualsiasi etnia o paese di provenienza. Il lavoro non consente distinzioni ma accomuna, unisce e valorizza, crea ponti e mette al centro la persona. Le uniche differenze sono quelle dovute agli aggettivi che seguono la parola lavoro e che sono: assente, precario, sottopagato, frammentato, in nero, lavori deboli e lavori poveri. Sono differenze che non possiamo accettare perché fino a quando esisteranno ci sarà gente che vivrà ai margini della società. D’altra parte il Primo Maggio è anche memoria, per le tante battaglie sindacali combattute per eliminare lo sfruttamento, per rendere il lavoro un’attività umana, degna di essere umana. Il lavoro da’ dignita’ ed una effettiva cittadinanza come hanno ricordato oggi il Capo dello Stato Mattarella e Papa Francesco. Grazie per le loro parole importanti sul valore del lavoro. Questi sono i riferimenti culturali e morali che uniscono e che noi preferiamo”.

http://youtu.be/4-IIurzAT1s “Mai come oggi ricordare significa guardare al futuro. -incalza Furlan- L’unica parola che può seguire il lavoro è dignità- torna a sottolineare ricordando che “attraverso il lavoro la persona partecipa alla crescita della comunità perché realizza il seme e la dimensione plurale del ‘noi’. Lo sancisce la nostra Costituzione: il lavoro non solo come fonte di reddito ma come premessa di libertà personale e collettiva, come funzione svolta dalla persona, per il progresso materiale e spirituale della società.
Mentre tutto cambia tanto velocemente da rendere superate la maggior parte delle regole che hanno governato fino ad oggi il mondo che conoscevamo, il lavoro conosce trasformazioni epocali sotto il segno delle nuove tecnologie, dello sviluppo digitale, della robotica, rimane questa la frontiera verso cui procedere per realizzare nuove tutele. Dobbiamo essere consapevoli del contesto in cui ci muoviamo, sapere che le caratteristiche del cambiamento in atto richiedono una dimensione europea anche per il lavoro, per lo sviluppo, per reggere la competizione internazionale per valorizzare un modello sociale che riposizioni i mezzi e i fini. Non devono essere la persona ed il lavoro uno strumento dell’economia ma è l’economia che deve essere al servizio della persona, del suo benessere e del benessere per chi lavora”
Tornando sulle parole del Presidente Mattarella, Furlan aggiunge che “l’Europa è il primo terreno di confronto nel quale si misurano la nostra qualità, il nostro grado di competitività ed è nel contempo la maggiore chance che abbiamo per incidere nelle dinamiche globali e tra le nostre qualità storicamente fondative c’è sicuramente la dignità della persona- ribadisce. Ecco perché abbiamo voluto incentrare la Festa del Primo Maggio su questi temi,  perché dobbiamo fare in modo che quella di oggi non sia una celebrazione ma un appuntamento attivo di militanza per il cambiamento necessario”.

Ma “le ragioni che ci hanno portato in piazza il 9 febbraio sono ancora tutte immodificate; quel giorno ci eravamo detti che stavamo manifestando perché vogliamo bene al nostro paese, perché eravamo preoccupati per le sue sorti, oggi lo siamo anche di più perché se un cambiamento c’è stato non è stato certo in meglio. Dopo quella manifestazione si sono finalmente aperti alcuni tavoli di confronto ai quali il Governo non è stato sempre direttamente presente. Il risultato e’ stato molto deludente. Parole, vaghe rassicurazioni, una serie di ‘vedremo’ e ‘valuteremo’. Tutto aleatorio e molto surreale”, perché “sarebbe bastato portare pazienza e gli effetti espansivi delle misure assunte si sarebbero visti presto e con chiarezza. Nel Decreto crescita, non si va molto al di là della correzione di alcuni errori della manovra, con l’abbassamento dell’Ires per le imprese e il ripristino del credito d’imposta e del superammortamento degli investimenti tecnologici 4.0. E però non basta la parola ‘crescita’ nel titolo per smuovere il Pil. Per far questo il decreto avrebbe dovuto contenere molto, molto di più. Avrebbe dovuto segnare un reale cambiamento, una vera e propria svolta”.
“Abbiamo lanciato un allarme con tutte le nostre forze sui dati economici che continuano a peggiorare. Abbiamo perso 1 miliardo di ore di lavoro dal 2007. Abbiamo chiesto al Governo di cambiare la politica economica, certamente iniqua ma anche recessiva, abbiamo denunciato un’emergenza crescita, previsioni molto sovrastimate, l’assenza di investimenti necessari e dichiarato la nostra preoccupazione per una manovra che gonfiava la spesa corrente senza rimettere in moto il Paese. Una manovra che avrebbe aumentato il debito, schiacciato la produzione, i consumi ed infine l’occupazione. Ed abbiamo seguitato a dire che non si poteva andare avanti così perché presto sarebbe arrivato il conto sulle spalle degli italiani, dei lavoratori, delle famiglie, e questo il sindacato non può permetterlo. Evidentemente le nostre esortazioni, ma anche quelle di tanti indicatori internazionali e di tante associazioni datoriali, non sono state ascoltate. Quanta delusione nei tavoli aperti, nei confronti che ci sono stati. Abbiamo detto che andavano sbloccate le grandi e medie opere perché è lì che ci sono i miliardi per poterlo fare.
Ma di questo, molto semplicemente, non c’è traccia. Non c’è un progetto, non sono previste risorse per rilanciare gli investimenti pubblici e privati. Non c’è niente per le infrastrutture, anche perché lo ‘sblocca-cantieri’ resta avvolto nella nebbia e di quel tanto che emerge si può solo dire che indebolisce il codice degli appalti e depotenzia l’Anac quindi la prevenzione e il contrasto delle mafie, l’applicazione dei principi di concorrenza e trasparenza e la tutela dei diritti dei lavoratori. E ciò accade in un paese che continua a segnare traguardi negativi sul fronte della sicurezza, perché anche nel 2018 sono cresciuti gli incidenti mortali sul lavoro del 10%. È una situazione intollerabile non si può morire di lavoro! Sembra un bollettino di guerra. E nel 2019 è già una strage. Dietro numeri e statistiche ci sono volti e nomi, famiglie, figli e coniugi che perdono un congiunto nell’ indifferenza generale. È un’ emergenza nazionale ed oggi, in questa Piazza, denunciamo con quanto fiato abbiamo questo dramma e chiediamo un confronto subito ed interventi urgenti. L’unica cosa chiara dello sblocca cantieri è che si tengono bloccati 400 mila posti di lavoro. Che poi vuol dire 400 mila disoccupati in più. E per una volta, diciamolo con chiarezza, non per mancanza di fondi, visto che ci sono decine di miliardi pronti per essere utilizzati. No, è per un incomprensibile ritardo ideologico di questo governo. E non si tratta solo dell’opposizione preconcetta e dannosa alla Tav. Non sono solo la Tap, il Terzo Valico o la Pedemontana. Parliamo di una lunga serie di strade e ferrovie, di porti e aeroporti fondamentali per unire il Sud al Nord del Paese e l’Italia con il resto d’Europa. Allo stesso modo non c’è alcuna misura strutturale, nel decreto ‘crescita’, per rilanciare i consumi, la crescita dei salari e dell’occupazione. Soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno, a proposito delle quali nulla si dice su come intervenire per colmare i ritardi. Vogliamo allora pensare, piuttosto, a come estendere i trattamenti salariali dei contratti collettivi nazionali rappresentativi a quella percentuale di lavoratori che oggi ne è esclusa? Vogliamo affermare piuttosto, che non può esserci nessun lavoratore escluso dalla contrattazione collettiva nazionale dovunque sia e qualsiasi cosa faccia? E che il contratto applicato deve avere attinenza con il lavoro che si svolge? Vogliamo combattere sul serio la proliferazione contrattuale e la diffusione di contratti per nulla rappresentativi e in dumping, che in diversi settori e aree del Paese producono salari al di sotto dei livelli di dignità?
O si preferisce piuttosto, creare una situazione che potrebbe indurre in tentazione alcune piccole e micro imprese a fuggire dal sistema contrattuale nazionale, ad uscire dalla loro organizzazione datoriale, per abbracciare il salario minimo per legge e mettere in soffitta tutte le altre tutele, che oggi sono riconosciute a milioni di lavoratori? Bel risultato sarebbe!

La verità è che il lavoro dovrebbe essere l’ossessione di questo governo, ma di misure per il lavoro non c’è traccia. E allora il lavoro di qualità e la persona umana sono le risorse più preziose, quelle da cui ripartire. Come farlo? Cominciando con un taglio strutturale del costo del lavoro a tempo indeterminato. Un programma di intervento sul cuneo fiscale delle retribuzioni e delle pensioni a beneficio di lavoratori e pensionati non è più rinviabile: il Governo deve capire che questa è la priorità! Magari iniziando a recuperare le risorse che servono con la lotta all’evasione fiscale. Non facendo cassa sui pensionati, che da aprile prendono un assegno ridotto per il blocco dell’adeguamento deciso dalla ‘manovra del cambiamento’, che però agendo così non ha cambiato nulla, ha fatto la cosa più vecchia del mondo”.
” Allora anche oggi riprendiamo, in  questa piazza e nelle altre piazze del paese, quei temi e quelle proposte che sono terribilmente attuali perché nulla si sta muovendo. Non c’è nulla di concreto nel Def e andiamo verso una  Flat tax  iniqua ed ingiusta. Abbiamo bisogno di una vera riforma del fisco che premi i lavoratori. L’85% dell’erario italiano è sulle spalle dei lavoratori dipendenti e pensionati, delle lavoratrici dipendenti e pensionate. E’ a loro che deve essere dedicata la riforma fiscale. Non abbiamo bisogno di sommare all’attuale iniquità altra iniquità”.

“La crescita si fa innanzitutto partendo dallo sblocco delle opere ed investimenti su scuola, formazione, innovazione e ricerca“.  Sottolinea Furlan. “Che vergogna  – aggiunge -un Paese che non garantisce la mensa ad una bambina immigrata la cui famiglia non può permettersi di pagare. E’ questo l’investimento sulla cultura e la formazione che immaginiamo? Siamo un Paese di migranti, siamo l’Italia, un Paese che attraverso l’immigrazione e l’emigrazione dei nostri nonni, delle nostre nonne ha portato in tutto il mondo ricchezza, professionalità, cultura ma soprattutto tanta umanità. E non possiamo immaginare di negare l’aiuto a chi è in mare e scappa disperatamente dalla fame, dalla morte e dalla guerra. Quando uno è in mare, va salvato senza chiedere prima se è un immigrato economico o se è un profugo. Questa è la cultura dell’Italia, e non vogliamo cambiarla. Quanta violenza in certe affermazioni e quanta poca dignità in tante altre”.

La Segretaria della Cisl affronta poi il tema del salario minimo. “Si è aperto un bel confronto -dichiara- ma per noi il salario minimo è fatto dai contratti nazionali delle nostre categorie. Il sindacato rappresenta  l’85% di lavoratori. Ne rimane un 15% a cui va trovato il contratto. Ad esempio i riders attraverso una sentenza di un magistrato torinese hanno saputo -ed è giusto che sia così- che hanno un contratto, quello della logistica firmato da Cgil Cisl Uil”.

http://youtu.be/ndFEbutI6AsFurlan chiude il suo intervento parlando di Europa, tema centrale di questo Primo Maggio. “Noi abbiano bisogno dell’Europa, altro che discorsi sovranisti, ma abbiamo bisogno di un’Europa che non sia solo coefficienti e protocolli, ma che sia carne e ossa e anche un po’ d’anima. Per cambiare l’Europa bisogna esserci e avere proposte di cambiamento. Noi le abbiamo le proposte di cambiamento che tolgano il dumping contrattuale tra i diversi paesi, che molto spesso si traduce in sfruttamento dei lavoratori e delle lavoratrici. L’Europa dei popoli parte dal lavoro, ed è per quello che come Cgil Cisl Uil vogliamo dedicare questo nostro primo maggio a far capire che l’Europa è la nostra priorità”. 

Anche dalle pagine dei quotidiani Avvenire’ e ‘La Nazione’ di questa mattina Furlan sottolineava il sostegno del sindacato per  un’Europa nuova, in difesa del lavoro e per un rafforzamento dello stato sociale.  “Abbiamo sempre creduto nel progetto dell’integrazione europea, -ha osservato- ma occorre un cambio di rotta nelle politiche economiche, ponendo al centro la persona e i suoi bisogni, gli investimenti sul lavoro dignitoso e sicuro, più infrastrutture, innovazione, ricerca. Tutto il Paese ed il Mezzogiorno in particolare, hanno pagato un prezzo altissimo in questi anni per effetto delle politiche di rigore economico dell’Europa”, ha detto  in un’ intervista sul quotidiano ‘La Sicilia’ ponendo come esempio proprio la grave e drammatica situazione che vive una regione importante come la Sicilia.

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