14 giugno 2018. La ripresa degli ultimi anni non ha inciso sui livelli di benessere e sulle relative disparità territoriali. Questo è il quadro tracciato dagli indicatori del Barometro Cisl a livello regionale al 4° trimestre 2017, cioè alla vigilia delle elezioni di marzo. La recente tornata elettorale ha mostrato con chiarezza il disagio sociale che percorre il nostro Paese.
Nel corso del 2017 vi è stata una progressiva frenata rispetto al moderato miglioramento degli indicatori che aveva caratterizzato il biennio 2015-16. Le famiglie, dunque, nelle diverse realtà regionali, hanno percepito poco la ripresa del PIL, perché questa tende a non tradursi direttamente ed immediatamente sul piano sociale. Il rallentamento è evidente soprattutto per diverse regioni del Nord; mentre al Sud la situazione è anche peggiore perché in questi ultimi anni una “fase di miglioramento” di fatto non si è neanche verificata.


Nel corso del 2017 in nessuna regione (a parte pochissime eccezioni) sembra essersi verificato alcun tipo di recupero per quanto riguarda le condizioni complessive di benessere.
Le perdite di benessere e i divari territoriali risultano particolarmente allarmanti per il dominio del Lavoro e della Coesione sociale, dove alla fine del 2017 nessuna regione ha recuperato il livello dell’indice che si osservava nel 2007. L’unico dominio che può essere descritto in termini più positivi è quello dell’Istruzione, anche se non possiamo dimenticare le forti distanze rispetto all’Europa. Particolare attenzione in questo numero del Barometro è dedicata al tema del peggioramento degli indicatori di qualità del lavoro. La crescita degli occupati negli ultimi anni ha convissuto con una stagnazione degli impieghi full-time e con contratto di lavoro a tempo indeterminato, nonostante l’intento del Jobs Act di incentivare le imprese verso il nuovo contratto a tutele crescenti. L’incidenza del lavoro precario è cresciuta di più nelle regioni con un tessuto produttivo caratterizzato dalla piccola dimensione e da una forte impronta artigianale: nel Nord est, con il Veneto e il Friuli Venezia Giulia, ma anche nell’Umbria e, soprattutto, nelle Marche. Si segnalano anche gli incrementi in Emilia Romagna e in Piemonte. Una proposta che sembra sul tavolo del nuovo governo è la cancellazione del Decreto Poletti del 2014, che ha consentito la stipula di contratti a termine senza causali. La Cisl pensa che sia necessario aprire il confronto al più presto con le Parti sociali su come intervenire; siamo per discutere le necessarie correzioni per migliorare la normativa, ma il tema che riteniamo più importante per favorire la stabilità del lavoro è quello del differenziale di costi tra diverse tipologie contrattuali. Siamo perché vengano divaricati i costi tra lavoro stabile e lavoro a termine.

La Cisl ritiene, dunque, che vadano affrontate alcune problematiche, quali la stagnazione della produttività con le sue conseguenze sui redditi, la concentrazione delle imprese più competitive in una quota ridotta di aziende orientate all’esportazione, la debolezza della domanda interna, determinata anche dalle disuguaglianze, la caduta degli investimenti pubblici. Bisogna intervenire per affrontare le tare strutturali in un Progetto Paese, in un Programma di politica industriale, in politiche redistributive, in una visione dello sviluppo che un grande Patto sociale dovrebbe gestire secondo i principi della sostenibilità ambientale, della responsabilità e della coesione sociale, del bene comune.



