Roma, 11 marzo 2016. Il prossimo 17 aprile saremo chiamati ad esprimerci sul referendum abrogativo che mira ad annullare il rinnovo delle concessioni per la coltivazione e la estrazione dei giacimenti di idrocarburi (petrolio e gas naturale), realizzati all’interno delle 12 miglia di distanza dalle coste e dal perimetro di aree marine protette. E’ nostra convinzione che sull’argomento in questi anni si sia sviluppato un dibattito strumentale, privo di contenuti e fuorviante rispetto alle necessità del Paese in materia energetica ed infrastrutture collegate a questo settore industriale e merceologico. Gran parte degli esponenti politici, anche quelli che in cuor loro non sono contrari all’uso dei giacimenti nazionali, stanno strumentalmente utilizzando l’argomento e senza nessuna responsabilità puntano al consenso cavalcando posizioni conservatrici. Il referendum non deciderà se realizzare o meno nuove infrastrutture di estrazione (trivelle si o trivelle no); infatti nei recenti provvedimenti del Governo sulla materia viene confermato il divieto a nuovi impianti dentro le 12 miglia, si tratta invece di decidere se far continuare le produzioni negli impianti autorizzati e già realizzati e operativi dentro il perimetro sopraindicato. In caso di affermazione dei sì al quesito referendario, si genererebbe un danno pesantissimo alla nostra economia nazionale e al sistema ambientale con effetti anche sul piano locale: si ridurrebbero drasticamente le royalties a favore delle Regioni e degli Enti Locali interessati (ritorni economici per le Pubbliche Amministrazioni), aumenterebbero le importazioni di petrolio e gas e i costi generali, sarebbe incrementato il traffico delle petroliere nei nostri mari provenienti da Paesi lontani e di conseguenza non diminuirebbero le emissioni. Il nostro è un Paese fortemente a rischio sul piano energetico, con una dipendenza dall’estero (soprattutto da Paesi instabili dal punto di vista geopolitico), che supera l’80% e nel caso specifico degli idrocarburi fossili, che ancora rappresenteranno una fonte primaria almeno per i prossimi 70 anni, supera il 90 %. Come Paese industrializzato, caratterizzato particolarmente dall’attività manifatturiera (seconda in Europa nelle produzioni dopo la Germania), l’Italia consuma importanti quantità di energia. Sarà pertanto fondamentale diminuire il livello di condizionamento dalle importazioni estere e favorire le produzioni nazionali affinchè venga abbattuta una dipendenza che condiziona fortemente i costi delle imprese, del sistema economico tutto e impedisce un rilancio strutturale della crescita e della realizzazione di investimenti. Il settore dell’estrazione degli idrocarburi è regolato da severe e rigorose normative nazionali e regionali in materia di sicurezza, salute e ambiente, che tutelano il territorio circostante da possibili effetti negativi, rendendo compatibili e sostenibili le operazioni di coltivazione ed estrazione, con un sistema di monitoraggio e controllo che garantisce qualità e costante applicazione delle norme. Si estrae petrolio e gas naturale anche in Paesi del Nord Europa come la Norvegia e la Gran Bretagna estremamente attenti alle compatibilità e sostenibilità ambientali degli impianti di perforazione. Sono invece vietate dalle nostre leggi, concessioni per estrazione di shale gas o shale oil, attive negli Stati Uniti, o le tecniche di iniezione in pressione nel sottosuolo di fluidi liquidi o gassosi. In Italia non sono da attribuire all’industria di estrazione di gas naturale e petrolio responsabilità di calamità o danni ambientali. Va pertanto realizzato un sistema di approvvigionamento energetico che garantisca continuità alle attività produttive, ai consumi domestici e commerciali e all’intero apparato infrastrutturale del Paese. Le tradizionali fonti alternative (geotermica, idroelettrica) non permettono una programmazione certa nei prossimi anni per la saturazione delle proprie potenzialità; il comparto delle rinnovabili, cresciuto fortemente negli ultimi anni, non garantisce l’autonomia energetica al sistema economico e sociale e l’attuale rete elettrica di distribuzione nazionale non è in grado di sostenerne adeguatamente la generazione distribuita. Per queste motivazioni l’Italia, come altri Paesi economicamente forti, ha deciso da anni di affidare al gas naturale (metano) la transizione per il superamento di combustibili ecologicamente meno sostenibili e nel nostro caso anche degli impianti di energia nucleare ritenuti rischiosi. Sospendere o diminuire le produzioni nazionali di metano (gli impianti autorizzati sono prevalentemente destinati all’estrazione del gas) sarebbe un danno significativo all’economia nazionale e all’ambiente, proprio perché questo idrocarburo garantisce una forte riduzione delle emissioni di CO2. La Femca-Cisl e Flaei-Cisl condividono l’utilizzo di questo modello di approvvigionamento energetico nazionale, sostenibile e in grado di rafforzare il nostro sistema produttivo, commerciale e le attività sociali e di assistenza pubblica (ospedali, trasporti, etc..). Un esito favorevole del referendum comporterebbe il superamento di un altro pezzo dell’industria italiana, (attività mineraria ed energetica e beni e servizi ad essa connessi), con la cancellazione di decine di migliaia di posti di lavoro diretti e indiretti (questi ultimi soprattutto nel comparto metalmeccanico e edile), già fortemente condizionati dalla instabilità dei prezzi del barile di petrolio. Le professionalità espresse da lavoratori e imprese ad alto contenuto tecnologico sarebbero costrette ad operare all’estero, trasferendo così conoscenze e professionalità fuori dal nostro Paese. Alcune aree territoriali (Sicilia, Costa Adriatica, Ionio, Basilicata) verrebbero messe in grande difficoltà economica e conseguentemente sociale. Per questo ribadiamo l’inutilità, l’inadeguatezza e la pericolosità degli effetti di un referendum basato su una propaganda generica e sulla falsificazione della realtà. Da anni siamo impegnati a realizzare un’industria sostenibile e di alti contenuti tecnologici, accompagnati da professionalità di alto profilo. Tuteliamo il lavoro e i lavoratori impegnati in questi siti produttivi, nelle imprese del settore energetico e minerario e dell’indotto che viene generato da queste attività. Abbiamo lavorato per valorizzare modalità di produzione compatibili con l’ambiente, sicure per chi ci lavora e per i territori circostanti e l’esperienza maturata negli anni lo dimostra. Non siamo però disponibili ad accettare la distruzione di decine di migliaia di posti di lavoro e la desertificazione produttiva di intere aree territoriali del nostro Paese.
Femca CISL – Flaei CISL