Roma, 10 ottobre 2017. “E’ assurdo che oggi l’Italia sia costretta a importare acciaio mentre chiude le acciaierie”. Durissimo atto di accusa del segretario generale della Fim – Cisl Marco Bentivogli al ceto politico italiano, mentre esplode il caso Ilva, in una lunga intervista di Lidia Baratta su Linkiesta.it all’indomani dello stop del Governo sulla trattativa relativa al gruppo siderurgico dopo l’acquisizione di Arcelor Mittal per il mancato rispetto degli impegni da parte dell’acquirente. “Non è solo una questione di esuberi” incalza il sindacalista – non accettiamo alcun licenziamento ma bisogna pensare anche al piano industriale che deciderà il destino dell’Ilva. “Serve un piano di investimenti per il sito di Genova, e soprattutto per il rilancio di Taranto. prosegue Bentivogli: “Ilva?: “La politica non sa nulla d’industria, ormai le fabbriche sono solo un bacino elettorale” . “La reazione di Calenda? Ha fatto bene. In questi anni di commissariamento non è stato fatto alcun investimento nella manutenzione degli impianti tarantini, per cui si riparte da molto indietro”. Il primo sequestro dell’Ilva risale ormai al luglio 2012 più di cinque anni dopo a fare ancora siamo ancora a fare i conti con il futuro del principale polo siderurgico italiano, il problema del nostro ceto politico – dice Bentivogli – è che è a-industriale, non ha cioè una cultura lavoristica e industriale. Non ci si occupa sul territorio di industria e lavoro, se non per schierarsi con questo o quel sindacato. Si guarda alle vertenze sempre in un’ottica di speculazione politica, e mai con analisi serie. Oltre al fatto che spesso nella creazione di queste crisi la politica è parte e non soluzione del problema”, a dalla mancanza di risoluzione dei problemi di accesso al credito ai problemi che riguardano le infrastrutture, la politica è anche responsabile in parte delle crisi aziendali. E cita i casi dell’Alcoa di Portovesme dove gli americani chiedevano un porto di accesso per le merci dal 1995 per non parlare del collegamento tra le acciaierie di Terni e il porto di Civitavecchia. “A Taranto solo quando è esplosa la questione ambientale, ci si è accorti che i registri tumori erano pressoché inesistenti. Non esiste una politica industriale: in questi anni sull’Ilva si sono fatti errori a tutti i livelli, che hanno dimostrato una grande mancanza di preparazione. Pensiamo alla tentata nazionalizzazione di qualche anno fa! – dice . “La politica – sottolinea il sindacalista – “si fa vedere su queste questioni durante le campagne elettorali e soprattutto dove ha garanzia di non essere fischiata. I lavoratori diventano oggetto da strumentalizzare. Le fabbriche sono ormai solo un bacino elettorale. Con un pezzo di sinistra che ormai non sa più leggere il mondo del lavoro”. La produzione di acciaio è lo scheletro della nostra sovranità industriale. La crisi dell’Ilva non è colpa della globalizzazione, ci siamo fatti male da soli. È un esempio di masochismo industriale. È un assurdo che ora che è aumentata la domanda di acciaio noi siamo costretti a importarlo, con la nostra produzione dimezzata. E dice citando il caso del grande impianto siderurgico di Linz in Germania – “i governi dei Paesi industriali sostengono le questioni relative all’industria all’unisono, senza convenienze politiche, perché consapevoli che la manifattura è una spina dorsale importante dell’economia” . In Italia invece si tende a polarizzarsi di qua o di là. “Va detto – conclude Bentivogli – che solo il sindacato ha cercato un equilibrio tra le esigenze dei lavoratori e quelle dell’ambiente. La sinistra ha continuato a buttare la palla in tribuna senza proporre soluzioni. Come diceva Luigi Pintor, si va di sconfitta in sconfitta verso la vittoria. Il problema è che i lavoratori poi di questo se ne accorgono. E ci rimettono pure.