Roma, 11 aprile 2016. “In occasione della consultazione referendaria del 17 aprile, i Segretari Generali di Filctem CGIL – Femca CISL e Uiltec UIL esprimono la loro contrarietà sul merito del quesito e forti preoccupazioni per le conseguenze dell’eventuale affermazione dei SI”. E’ quanto affemano in una nota congiunta le tre sigle sindacali in previsione del prossimo referendum del 17 aprile. “Da anni -proseguono le federazioni- siamo impegnati nel favorire attraverso accordi di programma e intese riorganizzative, la trasformazione di impianti tradizionali in produzioni bio compatibili o tecnologie innovative (riconversione in bio raffinerie dei siti di Marghera e Gela, in plastica green a Porto Torres) o lo sviluppo delle energie rinnovabili e pertanto la sostenibilità delle produzioni, la sicurezza dei lavoratori impegnati all’interno dei siti produttivi e il rapporto con il territorio, sono per noi priorità negoziali nei confronti delle controparti aziendali e delle Istituzioni Locali e Nazionali. Inoltre garantire e sviluppare le produzioni nazionali di idrocarburi, eviterebbe ulteriori impegni delle Compagnie Petrolifere occidentali in Paesi a rischio sul piano dei diritti del lavoro, dell’ambiente e della legalità”. “Il nostro dissenso quali Segretari Generali delle organizzazioni maggiormente rappresentative dei lavoratori operanti nel comparto, si basa pertanto sull’esperienza maturata negli anni e su alcune considerazioni, che riteniamo fondamentali per la ripresa e il rilancio dell’economia:
• L’Italia importa circa l’80% dell’energia utilizzata e oltre il 90% di quella prodotta da fossili (petrolio, gas metano, carbone), che nella maggior parte dei casi proviene da Paesi a rischio geopolitico (Russia, Libia e Algeria per il gas e dai vari Paesi produttori medio orientali per il petrolio) e che non consentono certezza nell’approvvigionamento. Oggi soltanto la Norvegia, come Paese esportatore verso l’Italia, è rappresentativo di una democrazia matura e questo è un tema che non può in alcun modo essere sottovalutato.
• Il nostro Paese è già fortemente impegnato nella lunga transizione – gli esperti parlano ancora di 70/80 anni – verso l’utilizzo totale delle rinnovabili, che al momento però non garantiscono la necessaria autonomia e sicurezza nella continuità degli approvvigionamenti per gli utilizzi civili, commerciali, sociali ed industriali.
• Il quesito referendario non chiede di autorizzare o meno nuove trivellazioni, ma chiede il blocco delle concessioni di impianti off shore attualmente operativi nell’estrazione di olio e gas naturale tra le 5 e le 12 miglia marine dal limite della costa. Impianti operativi su giacimenti ancora ricchi di idrocarburi e fondamentali per la produzione interna.
• Recentemente il Parlamento è già intervenuto su questa materia, vietando richieste di esplorazione, coltivazione e estrazione di idrocarburi entro le 12 miglia marine.
• Oltre l’80% degli impianti interessati dal quesito referendario sono dedicati all’estrazione del gas naturale, idrocarburo semplice a basse emissioni di CO2 e indicato anche nei vertici mondiali sulla tutela ambientale, quale vettore energetico ideale nella già indicata transizione verso le rinnovabili.
• Gli addetti dedicati agli impianti interessati dal referendum e la cui occupazione verrebbe messa a serio rischio sono circa 5.000 tra i diretti (operativi sulle piattaforme, attività di ingegneria, staff, logistica e commerciale) e circa 15.000 tra gli indiretti (manutenzioni edili e meccaniche, trasporto, logistica indiretta, attività di supporto vario).
• Il nostro Paese è secondo soltanto alla Germania nelle produzioni manifatturiere, attività strategiche per la ripresa della crescita e dell’occupazione, che, essendo energivore, hanno bisogno di continuità nelle forniture.
• Le attuali norme di tutela ambientale e di sicurezza degli impianti sono estremamente severe e garantiscono ai tratti di mare interessati dalle attività di esplorazione, una flora e una fauna di qualità sul piano batteriologico e biochimico e con biodiversità diffuse.
• Altri Paesi come la Norvegia e la Gran Bretagna, con legislazioni ambientali severe come la nostra, permettono in quantità molto superiori a quelle italiane, le coltivazioni ed estrazioni di idrocarburi.
• La fiscalità locale e centrale (oggi la tassazione media su queste produzioni è al 63.9%) subirebbe un pesante ridimensionamento con la riduzione delle royalties a favore degli Enti Locali interessati e dello Stato Centrale in una condizione di grande difficoltà nel reperimento di risorse pubbliche. Ribadiamo pertanto la nostra ferma contrarietà ad una iniziativa referendaria che riteniamo inutile e dannosa per il Paese. Inutile perché interviene su una materia già definita dalle normative recentemente approvate dalle Istituzioni competenti e dannosa per le conseguenze che un’eventuale affermazione dei SI comporterebbe sull’occupazione e le professionalità del settore, sulla fiscalità locale e centrale, sull’autonomia energetica del Paese e sui danni ambientali che deriverebbero dall’aumento del traffico navale interno per le conseguenti maggiori importazioni di petrolio via navigazione marittima. Per queste motivazioni -cocnludo Filctem, Femca e Uiltec- invitiamo ad affrontare il dibattito sulla transizione energetica fuori da posizioni dogmatiche e precostituite, invitando il Governo, le Istituzioni Locali e le aziende del settore ad aprire con urgenza un confronto di merito sulla realizzazione della Strategia Energetica Nazionale per sostenere gli investimenti e la realizzazione delle infrastrutture innovative e delle nuove tecnologie nel settore, favorendo così la crescita e un rinnovato sviluppo del Paese”.