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Energia. Flaei Cisl: “Rete elettrica, fonti rinnovabili, scadenza delle concessioni. Facciamo punto e accapo”


Efficientare l’efficientamento? Non servono ulteriori efficientamenti ma la capacità di comprendere la realtà e mettere in campo una vera e tangibile inversione di tendenza”. E’ quanto si legge in una nota della segreteria nazionale della Flaei Cisl che così prosegue: .
“La guerra della Russia contro l’Ucraina ha riportato al centro del dibattito pubblico la situazione energetica del nostro Paese che, per quanti ancora non se ne fossero resi conto, dipende per l’80% dalle importazioni di materie prime energetiche. La medesima percentuale che costrinse alle domeniche a piedi nel 1973, mezzo secolo fa. Per non parlare delle criticità strutturali del nostro sistema e soprattutto degli errori di chi ha voluto che in Italia il carbone (il 35% della produzione mondiale) e il nucleare non potessero avere cittadinanza, mettendo la testa sotto la sabbia per non vedere la situazione appena fuori dai nostri confini.
Eppure, mai come in questa fase, si è sprofondati in un clima di incertezza e di insicurezza che potrebbe sconfinare nell’interruzione delle forniture, prigionieri di una irrazionalità incompatibile con la realtà di ogni giorno.
Da cosa dipende tutto questo? Da una penetrazione, che nessuno è in grado di controllare, di fonti rinnovabili, intermittenti per natura, insieme ad una rete elettrica al 70% da rinnovare e inadeguata a recepirle (a giudizio di RSE, società di ricerca sul sistema energetico del gruppo GSE, per ogni Gigawatt di rinnovabili che verrà installato serviranno 1850 Km di nuove linee elettriche e quindi oltre 120 mila Km entro il 2030). Non soltanto, appare irrisorio e limitato il ricorso alle dotazioni di accumuli necessari a coprire i buchi lasciati scoperti dalle rinnovabili. E ancora, con una fretta dimostratasi disastrosa si sono fermate centrali alimentate a combustibili fossili per spazio alle rinnovabili risultate incapaci di sostituirle mentre si stanno facendo i conti con la scarsità di fonti fossili sul mercato.
La FLAEI si è ossessivamente soffermata sulla necessità di restare con i piedi per terra, rivendicando il bisogno di guardare alla realtà. Condividiamo pienamente l’obiettivo della decarbonizzazione, ma conoscendo la “materia” non ci lasciamo trascinare in illusorie e facili soluzioni. Ci ha sorpresi non poco, in positivo, una intervista di qualche giorno fa al Messaggero, di un importante imprenditore italiano – Riello gruppo Aermec – che da 60 anni produce condizionatori. Lui più di tutti dovrebbe essere contento degli indirizzi che la transizione energetica sta prendendo (il “tutto elettrico”). Bene, nonostante il futuro vedrà il suo business, quello delle pompe di calore, crescere a vista d’occhio, non si fa illusioni: “Ma prima vanno adeguate le reti elettriche”. L’imprenditore continua: “Se pensiamo di affidarci completamente all’idroelettrico, al fotovoltaico e all’eolico andiamo a sbattere contro un muro. Non è un’energia programmabile e non è detto sia sufficiente. A fronte di ciò abbiamo deciso che vanno dismesse le centrali termiche a gas e carbone”.
Ecco il realismo che serve al bene della Nazione! Dispiace dirlo, ma il dibattito e le aspettative che si sono costruite non sembrano poter corrispondere alle date fissate.
Intanto ci si avvicina alle scadenze delle concessioni delle reti elettriche. Non se ne parla. I concessionari sono oltre 120, ma l’85% della rete è in mano ad un solo operatore e c’è da sperare che così si confermi la struttura di sistema anche dopo il 2030. Ma i 120 mila Km di linee elettriche da costruire sono compatibili con le scadenze delle concessioni? E come le fonti rinnovabili potranno entrare in esercizio in assenza di una rete elettrica in grado di recepirle?
La nostra riflessione, a questo punto, si arricchisce di una considerazione fondamentale…
È accettabile che, nel frattempo che tutti (Governo, Sindacati, Imprese, Cittadini) si stanno adoperando per trovare la strada migliore utile a fare scelte di una transizione energetica che potrebbe mettere in salvo il Paese per i prossimi 50 anni, le imprese concessionarie si dedichino ossessivamente ad efficientare il già efficientato? Per essere ancora più chiari: è mai possibile che con un costo del lavoro, irrisorio nel Settore Elettrico, si debba continuare a pensare – parliamo di alcune aziende, non tutte – ad una organizzazione del lavoro sempre più snella, continuando a tagliare personale come se non ci fosse un domani? Il sistema non regge più e il sindacato confederale, unitariamente, lo dice da tempo. Serve la capacità di comprendere la quotidianità vissuta sui posti di lavoro e non una “interpretazione” di essa. Serve una vera e tangibile inversione di tendenza, a partire da assunzioni nei reparti operativi e per ricostruire professionalità e competenze specifiche sulle attività core, come quelle relative alla progettazione in bassa, media e alta tensione e ai processi autorizzativi. Attività esclusive e distintive che devono restare all’interno delle imprese a cui è affidato in concessione un servizio pubblico essenziale per il Paese.
I prossimi saranno anni di investimenti massicci nella Rete elettrica e il personale che vi opera non può essere ridotto all’osso, con turni di lavoro massacranti. Le riorganizzazioni intervenute non stanno risolvendo il problema. Serve rispettare il dettato contrattuale sulla reperibilità, ad esempio, ma serve anche capire che non serve continuare pervicacemente a percorrere le stesse strade del passato, quando si è già delle eccellenze a livello mondiale. Ci riferiamo ad una organizzazione del lavoro che in alcune aziende ha raggiunto livelli di efficientamento esagerati, non riscontrabili in nessun’altra azienda elettrica al mondo. Perché svuotare gli organici per obiettivi estranei al servizio e agli interessi del Paese? Dove sono le risorse umane, dentro e fuori le aziende, per affrontare i lavori che sono e saranno necessari? E ancora: quando si è primi per distanza, rispetto agli altri operatori mondiali, perché continuare a correre ancora? A pensar male si fa peccato – diceva un noto politico – ma spesso ci si indovina. Al momento teniamo per noi i nostri pensieri…
Forse è il caso di fermarsi e pensare, tutti insieme, alla via migliore per offrire un progetto utile al Paese, mettendo al centro le lavoratrici e i lavoratori che ora reggono il sistema nonostante i mille problemi quotidiani che incontrano, dovuti ad una carenza di organici non più sostenibile. Serve investire sul costo del lavoro, serve premiare chi merita, serve comportarsi da grandi Player mondiali e non avere l’occhio soltanto agli utili di bilancio, utili che nessuno disconosce e dei quali andiamo orgogliosi, anche perché prodotti con il lavoro delle Persone.
Ma se c’è ricchezza, deve essere per tutti. Serve un equilibrio nuovo”.
   

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