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Metalmeccanici. Smart-working: dallo studio Fim, Adapt e Università Cattolica, renderlo sostenibile e duraturo è quanto ci chiedono i lavoratori

Pubblicato il 28 Mar, 2022


Rendere lo smart-working sostenibile e duraturo. È quanto emerge dalla ricerca dei metalmeccanici Cisl. La pandemia come tutti sappiamo ha fatto esplodere la modalità di lavoro agile, lo smartworking, un fenomeno fino a un anno fa relegato a poche diverse migliaia di lavoratori e
disciplinato da una legge, la 81 del 2017.
Come Fim Cisl per meglio comprendere questa modalità di lavoro senza infatuazioni ideologiche, abbiamo lanciato nel mese di maggio dello scorso anno, insieme ad Adapt e Università Cattolica, una ricerca tra i lavoratori metalmeccanici somministrando oltre 5000 questionari.
E’ stata l’unica grande campagna di ricerca, messa in campo dal sindacato metalmeccanico, per conoscere le reali condizioni dei lavoratori metalmeccanici oggi in smart-working, tramite un questionario online, di facile compilazione con il quale poter conoscere quanto e come si lavora in remoto, come si tengono le relazioni con l’azienda e come il tutto incide sulla vita personale e familiare.
Oggi abbiamo restituiamo i dati e le elaborazioni della ricerca in un seminario presso l’Università Cattolica di Milano dal titolo: “Lavorare da remoto nel settore metalmeccanico – la lezione della pandemia” insieme al presidente di Adapt Francesco Seghezzi, la prof Ivana Pais direttrice di Trailab dell’Università Cattolica del sacro Cuore, il professore di diritto del lavoro Maurizio Del Conte dell’Università Bocconi, Clemente Perrone direttore delle risorse umane del Gruppo Sirti e il Segretario generale della Fim Cisl Roberto Benaglia.
Lo studio ha riguardato oltre 5000 lavoratori del settore metalmeccanico, per il 65% uomini e di un’età maggiore 45 anni per oltre la metà del campione ( 52%), di questi, quasi il 60% laureato e residente nel nord-est del Paese, in larga misura lavoratori con contratto a tempo indeterminato, per il 95% impiegati o quadri, il restante 5% operai.
Il 62% dei lavoratori è occupato in grandi aziende sopra i 500 dipendenti, prevalentemente nei comparti dell’aerospazio, dell’ICT, della produzione di software e nell’automotive.
L’80% dei lavoratori coinvolti nella ricerca ha affermato di aver cominciato l’attività in lavoro agile per la prima volta con la pandemia.
Il questionario svolto on-line ad ogni domanda assegnava un punteggio per fornire ai lavoratori stessi, tramite un semaforo, una valutazione diretta sulla sostenibilità del lavoro in smart-working effettivamente svolto.
I risultati finali hanno dato su un scala da 1 a 10, un risultato di 8.2 per il “semaforo verde”, ovvero piena equilibrio del modo di lavorare in modalità agile, 7,6 invece semaforo rosso che significa che il loro lavoro in smart –working non rispetta il pieno equilibrio del modo di lavorare in modalità agile, né secondo i dettami di legge né sindacali mentre 7,7 seppur registrano favorevolmente la modalità di lavoro agile evidenziano diversi aspetti da migliorare. Quindi sommando i verdi e i gialli si regista una sostanziale apprezzamento da parte dei lavoratori rispetto a questa modalità di
lavoro.

Nello studio emergono nella prestazione in “smart-working” alcune criticità:
Il 65% dei lavoratori non ha partecipato a corsi di formazione preparatori o durante lo smart working finalizzati a gestire al meglio lo stesso;
Il 59% hanno lavorato spesso oltre gli orari di lavoro previsti dal CCNL;
Il 61% non ha avuto informazioni circa il diritto alla disconnessione, anche se solo il 12% si ritiene pressato dall’azienda nella gestione della prestazione lavorativa;
L’86% usa strumenti aziendali:
Il 38% dei lavoratori non ha ricevuto informazioni scritte sugli adempimenti in materia di salute e sicurezza;
Il 78% non ha avuto appositi benefit aziendali.
Ma quello che emerge dai dati fini qui raccolti è che lo smart-working appare, nella valutazione delle persone, come una modalità di lavoro per lo più flessibile e produttiva:
Lo smart-working viene prevalentemente ritenuto sostenibile anche se svolto da casa;
Lo stesso è rapportato soprattutto a piacere di lavorare per il 17% degli intervistati, opportunità di stare più con i figli per il 14%, maggiore concentrazione per il 21%, anche se vi sono evidenze di solitudine per il 10%
Manca molto il rapporto con i colleghi per il 25%;
Circa la possibilità di continuarlo, il 58% risponde che preferirebbe modalità ibride di 2/3 giorni alla settimana in lavoro agile e il resto in presenza, mentre il 28% lo vorrebbe per sempre e tutti i giorni;
Il voto medio che i lavoratori danno a questa esperienza di lavoro agile da 1 a 10 è 8.
“Quella che abbiamo realizzato con Adapt e Università Cattolica si tratta, commenta il Segretario generale della Fim Cisl Roberto Benaglia, di un’ampia ricerca, unica nel suo genere fatta sul campo, che finalmente fa chiarezza sul reale andamento e caratteristiche dello smart-working a partire dalla condizione dei lavoratori e non tanto dalle idee astratte.
Il dato che emerge è ambivalente ma interessante: lo smart-working certamente è una modalità di lavoro impegnativa, ma che risulta in buona parte sotto controllo e permette una flessibilità di tempo che dalle persone è molto apprezzata.
Emergono dei limiti, in particolare, si registra la necessità di un più consapevole coinvolgimento dei lavoratori che devono ricevere più formazione ad-hoc, più coinvolgimento su diritto alla disconnessione ed evidenziano superamenti dei limiti di orario, ma in generale l’esperienza di lavoro agile viene promossa dalla maggioranza dei lavoratori interessati dalla ricerca.
E’ da queste criticità che dovremo partire per gestire e migliorare la modalità di lavoro agile. Sono criticità che riguardano soprattutto il fatto che molte aziende hanno cominciato questa modalità lavorativa solo con l’emergenza sanitaria e hanno necessità di organizzarsi. Su questo fronte è chiaro che il lavoro agile chiede nuove soluzioni contrattuali e condivise, che possano migliorare questa modalità di lavoro, conciliando sempre più i tempi di vita/lavoro delle persone e il loro benessere che le esigenze di lavoro e produttività delle imprese. E’ positivo che molti lavoratori si
dichiarano interessati a continuare questa esperienza di lavoro e che ne apprezzino soprattutto le caratteristiche di flessibilità. Indietro certamente non si torna, bisogna superare la fase di emergenza rafforzare sempre più il ruolo delle parti sociali e impegnarci per un ruolo centrale della
contrattazione che sappia, in chiave innovativa non solo governare le flessibilità di questa modalità di lavoro, ma porre al centro il lavoro per obiettivi, sostenibile e governato dal lavoratore stesso che possa corrispondere ai cambiamenti di un lavoro sempre più legato ai risultati.

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