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Lavoro. Daniela Fumarola chiude il XX Congresso Cisl: “Ora sul Patto Sociale passiamo dalle intenzioni all’azione per affrontare le sfide del futuro. La Cisl è pronta a fare la sua parte, dentro un campo riformista e con rinnovati rapporti unitari”

“Care delegate e cari delegati, vi ringrazio con tutto il cuore per aver dato vita a un Congresso così intenso e partecipato. In questi giorni avete riempito la nostra assise di idee, di proposte e di testimonianze appassionate. Ogni intervento, ogni voce, ha aggiunto un tassello al nostro straordinario mosaico comune che si chiama CISL”. Con queste parole la Segretaria generale della Cisl apre i lavori dell’ultima giornata dell’assise congressuale, dopo un minuto di silenzio per ricordare la strage di Via d’Amelio in cui, 33 anni fa, perdevano la vita Paolo Borsellino e la sua scorta.
“Vi ringrazio per la passione e la militanza con cui avete contribuito al dibattito: -afferma Fumarola- questa pluralità di esperienze e punti di vista è la vera forza della nostra grande comunità sindacale. Dalle vostre parole emergono energia, coraggio e voglia di “esserci”: la voglia di partecipare e di cambiare davvero le cose. È grazie a questo impegno collettivo se oggi la CISL viene percepita ovunque come il sindacato della responsabilità e della partecipazione, vicino ai problemi reali delle persone.
La CISL è una rete viva e forte grazie a voi, delegati nei luoghi di lavoro, operatori nei servizi, attivisti nelle nostre federazioni territoriali e nelle rappresentanze locali dei pensionati. E lo dico venendo da lì, dal territorio, dall’impegno quotidiano tra le persone, dalla vostra stessa storia. Una storia fatta di successi, ma anche di fatiche, a volte di momenti di scoramento e di arretramenti. Pronta sempre a ripartire, consapevole che la CISL vale una vita. Con il vostro lavoro quotidiano, insieme, abbiamo oggi l’opportunità e il dovere di collegare questo potente motore al futuro del Paese, accompagnandone la ripartenza con i valori della solidarietà, della partecipazione e della corresponsabilità sociale.

“Il dibattito di questo Congresso ci consegna una convinzione chiara: per affrontare adeguatamente le sfide che abbiamo di fronte è urgente un nuovo Patto sociale. Lo abbiamo detto con forza e abbiamo trovato un’attenzione importante anche fuori dal perimetro della nostra organizzazione. Molte associazioni delle imprese sono venute qui a dirci che condividono la necessità di un Patto sociale per governare le transizioni e il nuovo scenario globale. Le parole che la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ci ha rivolto vanno in questa direzione, la Premier ha riconosciuto la necessità di superare la logica dello scontro ideologico, di rifondare il rapporto tra impresa e lavoro in modo collaborativo, e ha manifestato apertura verso il dialogo sociale. Abbiamo accolto con soddisfazione il suo intervento. Un impegno forte che metteremo già da domani alla prova dei fatti.
Gli impegni assunti devono diventare in tempi brevi un percorso vero, necessario a dare una direzione al cambiamento e a recuperare una visione fatta di crescita inclusiva, uno sviluppo contrattato che ricomponga le fratture sociali e spieghi le vele del progresso.
Al Governo diciamo: passiamo subito dalle intenzioni all’azione!
La via maestra è quella che porta a un Contratto nazionale per lo sviluppo, la sostenibilità sociale e il lavoro che impegni Esecutivo e parti sociali su un programma su obiettivi condivisi. L’auspicio è che questa strategia sia sostenuta da una coalizione ampia. Non è più tempo di alibi o di pregiudiziali. Chi oggi si tira indietro si assume la responsabilità di auto-escludersi da un cammino fondato sull’etica della cooperazione.
La via del dialogo e della partecipazione richiede coraggio – il coraggio di scelte giuste anche quando possono essere impopolari, o meglio impopuliste. L’alternativa è quella della sterile denuncia o del “luogo-comunismo”, che si manifesta nella ripetizione compulsiva di slogan vuoti e fini a se stessi. Si tratta di riscoprire la concertazione, in una chiave diversa rispetto al passato e con finalità coerenti con le sfide di questo nostro tempo, un tempo difficile, caratterizzato dalla rilegittimazione della guerra come via per affrontare i conflitti geopolitici e le relazioni tra paesi. L’esibizione muscolare ha spazzato via il dialogo, il confronto, il multilateralismo faticosamente costruito nella seconda metà dello scorso secolo. Vero: non tutto funzionava adeguatamente.  Abbiamo rivendicato per molto tempo una globalizzazione diversa da quella centrata sulla finanza speculativa e lontana da vincoli di sostenibilità sociale. L’eredità di quella stagione, esacerbata dalla pandemia, è più diseguaglianza, più polarizzazione, un ritmo di crescita a scartamento ridotto, l’espandersi a macchia d’olio della sfiducia e del rancore. Un contesto che preoccupa e che richiede un’azione decisa, secondo un approccio che sia saldamente centrato sulla nostra appartenenza all’Unione Europea. Un’Europa che deve essere più unità e autorevole, sfide che non paiono essere del tutto colte dalla proposta di bilancio degli scorsi giorni.
La nostra proposta consiste nell’agire nel solco del modello di democrazia sociale, fondato su scelte maturate insieme alle parti sociali, verso un Patto i cui titoli abbiamo visto insieme.
La prima emergenza da affrontare riguarda la salute e la sicurezza sul lavoro. Questa deve essere la materia da cui partire, attraverso la condivisione di una strategia nazionale che, in Europa, siamo l’unico paese a non avere.
Secondo punto: accelerare il ritmo di sviluppo del Paese. Perché senza crescita non c’è redistribuzione, perché la decrescita non è mai felice. 

Bisogna far evolvere il nostro modello sociale, in  modo che sia più centrato sui consumi interni e sulla qualità del lavoro. È, quindi, necessario promuovere una nuova politica espansiva dei redditi che aumenti salari e pensioni, lanci una vera strategia industriale, promuova investimenti nella PA, nel socio- sanitario.
Per un patto nella scuola che rilanci assunzioni e stabilizzazioni, valorizzi le comunità educanti e chi le fa vivere ogni giorno, elevi gli investimenti nei plessi e in un sistema di istruzione e formazione che va messo in osmosi con il mondo del lavoro. Dobbiamo puntare su ricerca e università, qualificare il sistema dei servizi a mercato, capacitare le persone di lavorare con le nuove tecnologie generative.
L’irruzione dell’intelligenza artificiale, tecnologia che simula i processi cognitivi propri dell’umano, va gestita secondo una logica antropocentrica e partecipativa, di potenziamento della persona al lavoro.  
Va data una risposta ai nuovi bisogni, tra i quali emergono con forza la non autosufficienza; e la maggiore frequenza delle transizioni di vita e di lavoro, che possono condurre a nuovi rischi e a un accentuarsi delle diseguaglianze. Le tutele vanno date a tutti i lavoratori, siano essi subordinati o autonomi. Bisogna agire per curare le innumerevoli ferite che attraversano e lacerano il Paese, da Nord a Sud, dai grandi centri alle aree interne, dalle aree insulari a quelle montane. L’ambiente, il lavoro, la sicurezza non devono essere messi in contrapposizione.
È venuto il momento di affermare la possibilità di creare lavoro di qualità investendo in sostenibilità. La gestione equa e sostenibile delle grandi transizioni – ecologica, tecnologica, demografica – va affrontata in questo approccio sussidiario, olistico e concertativo. Così come le riforme che abbiamo indicato: la restituzione del fiscal drag; una rimodulazione fiscale che alleggerisca lavoratori e pensionati e sostenga gli incrementi e la redistribuzione di produttività. E poi un sistema previdenziale che dia futuro ai giovani e dignità a chi ha lavorato una vita, estendendo la previdenza complementare e prevedendo un’equa e sostenibile flessibilità in uscita.
Il nostro compito è contribuire a una nuova e compiuta economia sociale di mercato basata su un più forte protagonismo della società organizzata, e in particolare del sindacato confederale nella definizione di una road map di riforme finanziate anche da un Fondo di investimento dell’economia reale.
La partecipazione è la chiave per ricostruire la fiducia perduta, per far ripartire il paese, per aumentarne il potenziale di crescita, per far ricadere i frutti della crescita sull’intera società, a partire dai più deboli. 

Da questo palco ci hanno chiesto di “evitare caricature”: siamo molto d’accordo, ci pare, però, che la caricatura l’abbia fatta proprio chi ha tentato di darci improbabili insegnamenti. Dobbiamo ricordare che la contrattazione articolata l’abbiamo inventata noi a Ladispoli all’inizio degli anni cinquanta! E che sarebbe stato meglio leggerla la legge 76, che valorizza e rafforza sensibilmente la contrattazione collettiva, facendola avanzare, per incidere maggiormente nella formazione delle decisioni aziendali. Del resto, è un lavoro usurante quello di transitare da un’eroica sconfitta all’altra!
Non accettiamo lezioni, neanche sui contratti pubblici, da parte di chi per anni, con altri governi, ha firmato accordi da zero-virgola senza battere ciglio.
Voglio richiamare ancora una volta il valore per noi irrinunciabile del pluralismo sindacale. L’esistenza di più sensibilità sindacali, con storie e approcci diversi, è stata e resta una ricchezza della democrazia italiana. La CISL crede nel pluralismo perchè nessuno da solo può pensare di avere il monopolio della rappresentanza del lavoro. E – lo sottolineo con un po’ meno di ecumenismo – soprattutto nessuno può pensare di esercitare un’egemonia che esiste solo nella testa di qualche reduce del Novecento. Proprio perché crediamo nel pluralismo, crediamo anche nell’unità d’azione sindacale quando è possibile. L’unità non è un fine in sé, ma un mezzo per dare più forza alle nostre battaglie. Per questo diciamo ai nostri amici di CGIL e UIL: lavoriamo insieme, costruiamo alleanze concrete sui contenuti. Scegliamo un metodo condiviso, fatto di confronto nel merito e rispetto reciproco.
La CISL è pronta a fare la sua parte per una nuova stagione di rapporti unitari, ma dentro un campo riformista ben delimitato. Un’unità calata dall’alto, fatta solo di proclami o di sigle affiancate in piazza senza un vero comune progetto, non serve ai lavoratori, ai pensionati, né al Paese. Noi non alzeremo bandiere unitarie solo per gli archivi di un futuro immobile, vogliamo piuttosto riempirle di sostanza, di proposte serie e comuni.
Fuori di metafora: siamo tremendamente gelosi della nostra autonomia di giudizio e di azione. Non accetteremo mai un’unità che ci chieda di rinnegare i nostri valori fondanti – la solidarietà, il riformismo, l’associazionismo, il contrattualismo, la partecipazione, l’autonomia dal potere politico. Sono valori che la CISL intende condividere, valori su cui la CISL non soprassiederà MAI. Allo stesso modo, non pretendiamo che altri sindacati diventino come noi: chiediamo solo di riconoscerci a vicenda nei ruoli e nelle idee, e di lavorare insieme quando c’è terreno comune. Dobbiamo essere onesti: invocare l’unità sindacale a parole è oggi molto facile, costruirla nella pratica è molto più difficile. Per realizzarla davvero, occorre prima sciogliere alcuni nodi di fondo. Non si può parlare ogni giorno di fare fronte comune e poi, nei fatti, rifiutare il dialogo sociale e il Patto per il Paese. Non si può predicare l’autonomia del sindacato e poi invocare a ogni problema una legge dello Stato che sostituisca la contrattazione e la nostra responsabilità. Non si può sventolare la parola “partecipazione” e poi bollare come “concertazione corporativa” ogni tentativo di collaborare con le imprese o con il governo. Non si può rivendicare il potenziamento della contrattazione collettiva e, contemporaneamente, opporsi all’attuazione della legge 76. È come lottare contro il vento, strappandosi le vele da soli. Diciamolo chiaramente: l’unità sindacale che serve oggi ai lavoratori ai pensionati non si costruisce con le scorciatoie delle sigle uniche o delle fusioni a freddo, e nemmeno con l’appiattimento su posizioni pregiudizialmente antagoniste. Si costruisce giorno per giorno sui risultati concreti, nelle vertenze nei luoghi di lavoro come nelle proposte al tavolo con le istituzioni. Noi, dal canto nostro, siamo qui. Siamo sul sentiero del dialogo e della responsabilità. Invitiamo tutte le parti sociali a incamminarsi con noi su questo sentiero, a costruire insieme un fronte riformista. Qui li aspettiamo, pronti a unire le forze. E sappiamo altrettanto bene andare avanti per la nostra strada se necessario, quando riteniamo che protestare da soli sia più coerente con gli interessi dei lavoratori che rappresentiamo.
Non è arroganza, è fedeltà alla nostra idea di sindacato: un’organizzazione fondata sull’autonomia dalla politica, senza Governi amici, solidamente riformista, profondamente intrisa della logica secondo la quale le conquiste si ottengono passo dopo passo, con determinazione. Un sindacato “utile”, che non si accontenta ma vuole risultati per le persone che rappresenta. Un sindacato che non alza muri ideologici ma cerca sempre spiragli di trattativa, senza ovviamente rinunciare alla mobilitazione, al conflitto, allo sciopero, quando il filo del dialogo cade e l’interlocuzione si spezza. Questo siamo noi, e su questa identità costruiremo anche ogni ipotesi di azione unitaria. Grazie al confronto congressuale, abbiamo definito con maggiore nitidezza le priorità su cui la CISL concentrerà la sua azione nel prossimo mandato. Saranno assi portanti del nostro impegno quotidiano nei luoghi di lavoro, nei tavoli di trattativa e nel dialogo con le istituzioni. Abbiamo ragionato di problemi e soluzioni, ci siamo confrontati e magari anche appassionatamente scontrati su alcune idee – com’è giusto che sia in una grande organizzazione democratica. Ma da qui usciamo più uniti e motivati, con una rotta tracciata e una rinnovata speranza nel cuore.

Se dovessi riassumere in un’immagine ciò che ho visto in questa stagione congressuale vissuta intensamente, sceglierei i volti dei tanti giovani delegati e delegate che sono intervenuti al microfono per la prima volta: nei loro occhi ho visto brillare il coraggio della partecipazione. Il coraggio di metterci la faccia, di esporsi, di proporre anche visioni nuove. Ma anche quelli di tante pensionate e pensionati che attraverso la loro voce hanno creato una staffetta, una consegna di impegno, passione, testimonianza da parte di chi ha osato, con coraggio, un protagonismo nuovo. È da qui che dobbiamo ripartire, da questa energia straordinaria. Dal coraggio di esserci, di dare forma al futuro e fondamenta solide alla speranza. Questo significa partecipare. Rifiutarsi di guardare indietro, di ululare alla luna, di piangersi addosso di fronte alle difficoltà. Che sono tante, e talvolta spaventose. Significa scegliere di unirsi in un progetto collettivo, invece di stare alla finestra a criticare. Si sa, noi di certo lo sappiamo: partecipare richiede coraggio. Perché comporta assumersi responsabilità, accettare il rischio del cambiamento, metterci tempo e impegno personali. E sì, rischiare anche di sbagliare e di essere contestati. Ma nessun errore è più grande di quello che compie chi decide di restare fermo, di incolpare il prossimo, di fare tutto pur di non fare niente. Questo io lo chiamo fallimento. Il fallimento di chi, per usare le parole di Don Milani, preferisce tenere le mani in tasca piuttosto che usarle, graffiarle, sporcarle, trasformando il mondo attraverso la cooperazione e il duro lavoro.
Abbiamo aperto questo Congresso domandandoci che fine abbia fatto il futuro. Vorrei provare a dare una risposta dopo queste lunghe e appassionanti giornate. Il futuro è qui. Tra chi non tiene le mani in tasca. Tra chi, in un’epoca di incertezze globali, di rapide trasformazioni, di baratri spaventosi e inconoscibili, ha scelto di non stare fermo. Di affrontare le onde del cambiamento e di trasformarle in un nuovo destino comune. Di trasformare i rischi in opportunità, costruendo insieme ad altri volenterosi, le basi di una speranza condivisa. Il futuro di chi lo contribuisce a fare, di ogni lavoratore, di ogni delegato, di ogni giovane che offre idee nuove, di ogni pensionato che porta memoria e saggezza. Questo è il senso profondo della partecipazione per la CISL: coinvolgere per includere, coinvolgere per cambiare“.

“Usciamo da queste bellissime giornate più determinati che mai. Abbiamo tracciato una rotta e non indugeremo nel seguirla. Ci attendono sfide complesse, ma non ci spaventano: abbiamo la forza delle nostre idee e dei nostri valori. Abbiamo la competenza che viene dal nostro radicamento tra la gente. Soprattutto abbiamo voi, la nostra meravigliosa comunità di associati e delegati, militanti quadri e dirigenti, che ogni giorno nelle fabbriche, negli uffici, nelle scuole, negli ospedali, nei cantieri, dà gambe e cuore al nostro sindacato. Grazie a tutti voi. Grazie davvero per tutto quello che avete fatto e che farete. Voglio esprimere affetto e riconoscenza alle tante persone che hanno lavorato per questo Congresso. Agli operatori e alle operatrici della segreteria generale e dell’organizzativo, a tutti i contributi arrivati dai dipartimenti, all’energia che hanno saputo trasferire le donne e gli uomini di Via Po. Tutti, davvero tutti, voglio stringere in un ideale abbraccio. Niente di quello che facciamo avrebbe senso senza la vostra passione. E nulla è impossibile, se restiamo uniti e coerenti con ciò in cui crediamo. Andiamo avanti insieme, allora, con gratitudine per il cammino fatto fin qui e con determinazione per quello che ancora c’è da fare. Facciamolo con quella marcia in più che ci contraddistingue: la partecipazione. Continuiamo a partecipare con coraggio alla vita del nostro Paese, delle nostre comunità e dei nostri luoghi di lavoro. Continuiamo a testimoniare, con i fatti, che un sindacato autonomo, responsabile e partecipativo può fare la differenza nella vita delle persone. Questo è il coraggio della partecipazione: la convinzione che, uniti, possiamo cambiare davvero le cose. Ci è chiesto di essere operatori e operatrici di speranza, di aiutare il prossimo ad attraversare questi tempi oscuri verso un futuro di maggiore pienezza, cambiando gli stati di fatto, lottando contro le ingiustizie, abbattendo i muri. Per il tempo che viene prepariamoci, dunque, a scrivere una nuova pagina comune della nostra storia, dentro un avvenire che  dobbiamo scrivere insieme.
Buon futuro a tutti noi, e viva la CISL!”.

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