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Veneto. Cisl: “Storie di donne e di lavoro. Testimonianze all’ospedale Sant’Antonio”

Pubblicato il 19 Mar, 2022

“Per cambiare il mondo, bisogna esserci”. Con queste parole di Tina Anselmi, Marika Sartor, infermiera, responsabile del coordinamento donne della Cisl Fp Padova Rovigo, ha concluso l’incontro svoltosi oggi all’ospedale Sant’Antonio, di fronte a una platea di infermiere e oss attente e a tratti commosse dai racconti delle colleghe. La prima fila era occupata da rose e scarpe rosse, simbolo delle donne assenti perché vittime di violenza. L’incontro, dal titolo “Non solo oggi, ma ogni giorno”, organizzato dalla Cisl Fp Padova Rovigo, si proponeva di «raccontare i progressi fatti da noi donne in questi anni e gli obiettivi che ci siamo poste per il futuro», ha spiegato Sartor. «Sulle donne continua a gravare il doppio carico del lavoro e della famiglia e non ci sono abbastanza aiuti né da punto di vista economico né dei servizi. Domani è la festa del papà, ma sono ancora troppo poche le donne che possono godere di una genitorialità condivisa». Agli unici “maschi” presenti, Fabio Turato e Achille Pagliaro, della Cisl Fp, è stato donato un omaggio floreale dalle colleghe.

«E’ bello ritrovarsi a condividere queste riflessioni con donne che hanno lavorato in una struttura così pesantemente coinvolta dall’esperienza della pandemia», ha detto Francesca Pizzo, segretaria territoriale della Cisl Padova Rovigo, che ha parlato del suo libro “Donne in bilico… tra emarginazione ed emancipazione”. Il volume raccoglie le storie di donne diverse per età, provenienza e condizione sociale, che hanno incontrato difficoltà nel mondo del lavoro e che si sono battute per far valere i loro diritti. «Il libro prende le mosse da alcuni dati statistici sulle differenze nell’occupazione e in questioni collegate, come gli orari di lavoro, dove il part-time è appannaggio quasi esclusivo della componente femminile, non sempre per loro scelta. Poi ho voluto raccontare la storie di alcune donne che hoincontrato per la prima volta nel 2018 e poi ho ricontattato. Da allora non è cambiato niente. Alcune hanno cambiato lavoro, altre lo hanno abbandonato, un’altra è diventata madre. Ma non ci sono ancora le condizioni che permettono alle donne di conciliare lavoro e famiglia. Per questo siamo impegnati in numerosi progetti, soprattutto di formazione, per valorizzare la capacità delle donne di rimettersi in gioco».

L’importanza di condividere esperienze diverse, ma accomunate dalle difficoltà che si incontrano nel modo del lavoro e dalla volontà di superarle, è stata sottolineata da Marika Ferrazzo, anche lei infermiera, responsabile del coordinamento donne della Cisl Fp Regione Veneto: «La condivisione genera maggiore empatia e noi siamo un sindacato che unisce, perché unite siamo tutte più forti», ha detto.

Dalle storie vere, raccontate in un libro, ai racconti in prima persona. Marianna La Porta, infermiera nel reparto di Terapia intensiva post operatoria di neurochirurgia, siciliana, ha 29 anni ed è in Veneto da 10. «Non è facile lasciare le proprie radici e lavorare accanto a persone che hanno tanta più esperienza di te. E’ come saltare su un treno in corsa. Ma come infermiere lavoriamo accanto a gente che soffre a abbiamo sempre presente la centralità del paziente».Giovanna Vullo, infermiera in Chirurgia generale all’ospedale Sant’Antonio, oltre che madre e moglie, anche lei siciliana: «Ancora oggi – osserva – per molte donne non è semplice conciliare famiglia e lavoro e qualcuna si ritrova a dover scegliere. Mi auguro che giorno dopo giorno qualcosa possa migliorare per tutte noi». Infine Elisa Destro, operatrice socio-sanitaria al reparto malattia infettive, ha ricordato i drammatici primi momenti della pandemia. «Ho lavorato 19 giorni senza riposo – ha ricordato – e per un lungo periodo non ho abbracciato mio figlio. Lui, a otto anni, non capiva. Dopo la prima collega contagiata, abbiamo fatto le valigie e ci siamo sistemate in archivio, ma una di noi si è contagiata. Avevo paura di contagiare le persone. Pensavo ai compagni di classe di mio figlio, ai loro nonni. E per la prima volta, dopo nove anni, mi è capitato di non ricordare il nome di tutti i pazienti».

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