È ormai nota la decisione del gruppo britannico Burberry di procedere con un taglio del 20% della forza lavoro a livello globale, coinvolgendo migliaia di lavoratrici e lavoratori. Nelle ultime settimane è stata ufficializzata anche in Italia l’apertura di una procedura di licenziamento collettivo. L’azienda ha comunicato l’intenzione di procedere con 39 licenziamenti su un totale di poco meno di 330 dipendenti della sede italiana, pari a oltre il 10% della forza lavoro. A questi si aggiungerebbe un numero significativo di contratti a tempo determinato che, con ogni probabilità, non verranno rinnovati. Le motivazioni addotte dall’azienda fanno riferimento a una presunta necessità di riorganizzazione interna, finalizzata a migliorare i margini di efficienza, al fine di contrastare la crisi del lusso che sta rallentando le vendite in tutto il circuito moda. La difficoltà del settore non può essere una scusa per diminuire solamente gli organici. Burberry sceglie di licenziare a causa di scelte di business non corrette, investimenti eccessivi e risultati economici inferiori alle aspettative, proponendo la chiusura dei rapporti di lavoro con incentivi anche inferiori a quanto successo nel 2022, data dell’ultima procedura di licenziamento collettivo aperta. Questa ennesima crisi dimostra la fragilità di modelli economici che caratterizzano molte multinazionali: quando i profitti crescono, si capitalizza senza redistribuire; quando il mercato rallenta, si scaricano i costi sulle lavoratrici e sui lavoratori. Questo non è accettabile. Filcams, Fisascat e Uiltucs hanno sollecitato l’azienda a valutare soluzioni alternative, anche alla luce delle recenti notizie che segnalano una – seppur lieve – ripresa del business. Le Organizzazioni Sindacali chiedono di esplorare tutte le opzioni utili a salvaguardare l’occupazione, tra cui: l’utilizzo degli ammortizzatori sociali, un piano chiaro di sostenibilità per i punti vendita e le attività di sede, la possibilità di riduzioni volontarie dell’orario di lavoro (part-time) e forme di sostegno economico per chi opta volontariamente per la non opposizione al licenziamento. A fronte della chiusura dell’azienda alle nostre proposte, le Organizzazioni Sindacali, insieme alle rappresentanze sindacali aziendali, hanno deliberato l’apertura dello stato di agitazione. Nei prossimi giorni si terranno assemblee con le lavoratrici e i lavoratori per decidere le azioni da intraprendere. La riorganizzazione non può gravare sulle spalle delle lavoratrici e dei lavoratori!
BOOKING.COM ANNUNCIA LICENZIAMENTI IN ITALIA LE LAVORATRICI E I LAVORATORI NON PAGHINO LE SCELTE AZIENDALI!
La piattaforma olandese di prenotazioni e viaggi Booking.com ha annunciato nei mesi scorsi un piano di riorganizzazione globale che prevede un rilevante taglio della forza lavoro. Secondo indiscrezioni di stampa, il piano coinvolgerebbe migliaia di lavoratrici e lavoratori, con una stima che varia tra i 200 e i 1.000 esuberi.
Anche l’Italia non è esclusa da questa strategia: l’azienda ha comunicato l’intenzione di procedere con 9 licenziamenti su un totale di circa 150 dipendenti della sede italiana.
Le motivazioni fornite dall’azienda non riguardano esclusivamente elementi economici, bensì si richiamano a una presunta necessità di ottimizzazione dei costi e di preparazione all’automazione, al fine di “innovare in modo più intelligente, aumentare la velocità e agilità, e investire saggiamente per garantire il successo a lungo termine”. Un linguaggio ambiguo, che nasconde una strategia ormai ben nota: tagliare posti di lavoro per aumentare i margini, a discapito delle persone.
Il cambiamento del settore non può e non deve diventare un alibi per ridurre l’organico e scaricare sulle lavoratrici e sui lavoratori il peso di scelte aziendali unilaterali. È inaccettabile che, tra le giustificazioni addotte per i licenziamenti, l’azienda arrivi a citare questionari interni anonimi, dai quali emergerebbe un “basso senso di appartenenza al team” e una “diminuzione della motivazione”. Una strumentalizzazione gravissima, da respingere con fermezza.
Questo ennesimo caso dimostra ancora una volta la fragilità e l’iniquità dei modelli economici delle multinazionali digitali, che privatizzano i profitti nei momenti di crescita e socializzano i costi non appena il mercato cambia.
Le organizzazioni sindacali Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs hanno richiesto con forza all’azienda di esplorare soluzioni alternative ai licenziamenti, come l’uso di ammortizzatori sociali, la possibilità di ricollocazione interna e qualunque altra opzione finalizzata al mantenimento della forza lavoro in azienda.
L’unica disponibilità ottenuta da Booking.com è stata una proposta economica del tutto insufficiente, accompagnata inoltre dalla pretesa di selezionare le persone da licenziare.