Lazio. Cisl e Anolf Lazio, a convegno sui temi dell’immigrazione, chiedono alla Regione più finanziamenti per le politiche di inclusione

Roma, 28 ottobre 2016. Gli immigrati sono sempre di più ‘amplificatori sociali’ delle emergenze e delle disfunzioni del sistema socio-economico dei nostri territori. La loro presenza fa esplodere le crisi già esistenti: dalle periferie urbane al degrado, dalla sicurezza cittadina all’illegalità, dal caporalato al lavoro nero. Eppure, se si analizza il loro contributo al Pil, i versamenti previdenziali e gli accessi al welfare, danno molto più di quanto ricevono. Per questo occorre avviare politiche sociali non emergenziali ma strutturali che concorrano al perseguimento e rafforzamento dell’integrazione sociale. E l’accesso alle misure di welfare sociale dovrebbe essere uguale per tutti gli aventi diritto. Con queste premesse si è svolto oggi a Roma, presso l’Auditorium di via Rieti, il convegno organizzato dalla Cisl e dall’Anolf del Lazio intitolato “Oltre le frontiere delle emergenze. Gli immigrati nel Lazio: integrazione e opportunità”. All’evento hanno partecipato Rita Visini, assessore Politiche sociali Regione Lazio, Franco Pittau, coordinatore Dossier Statistico Immigrazione, Rosa Musto, dirigente MIUR, Liliana Ocmin, responsabile Dipartimento Donne, Giovani, Immigrati Cisl, Mario Arca, presidente Iscos, Mohamed Saady e Ewa Blasik, rispettivamente Presidente Anolf nazionale e regionale. Ha concluso i lavori, Andrea Cuccello, segretario generale Cisl Lazio. I partecipanti hanno analizzato gli aspetti strutturali del fenomeno migratorio per uscire fuori dalle logiche dell’emergenza e della paura. Anche perché gli immigrati regolari che vivono nella nostra regione rappresentano già da tempo una ordinaria normalità che compone il variegato mosaico della società laziale, visto che i 645.159 residenti stranieri nel Lazio, di cui 341.914 occupati, rappresentano ben l’11% della popolazione laziale. Cittadini e lavoratori che producono ricchezza. Il cosiddetto “PIL dell’immigrazione” laziale, nel 2015, con 16.728 milioni rappresenta il 8,9% del totale (Fondazione Moressa). Va detto però che tra ‘dare’ e ‘avere’ in termini di welfare e servizi, gli immigrati prendono meno di quello che danno. Solo parlando di pensioni, mentre ci sono 53,1 individui a carico di ogni 100 che lavorano, fra la popolazione residente straniera i pensionati a carico della popolazione attiva sono soltanto 20,1 individui, quindi meno della metà degli italiani. Pensionati immigrati che, così come per i giovani, sia per contribuzioni basse, periodi di lavoro in nero e carriere discontinue, non riusciranno a maturare il diritto. E chi ci riuscirà si ritroverà con un importo pensionistico simile a quello dell’assegno sociale a testimoniare il rischio di scivolamento nella povertà. Proprio per questo deve essere maggiore l’attenzione verso gli immigrati anziani nella nostra regione che ha il primato delle comunità straniere più antiche, giunte ormai alla terza generazione. La presenza degli immigrati rende ancora più evidente le diverse criticità del nostro sistema di protezione e di tutela. Nel Lazio, e soprattutto a Roma, il problema dei problemi non solo per gli immigrati è senza dubbio la questione abitativa, dove gli immigrati si inseriscono in una situazione di cronica crisi del mercato e del welfare abitativo caratterizzata, tra l’altro, da un’offerta residenziale pubblica irrisoria. Si scatena così una competizione tra le fasce più deboli, la cosiddetta ‘guerra fra i poveri’, dove la percezione di invasione e di soprusi da parte ‘dell’altro’ è la spia di un disagio da non sottovalutare per evitare ostilità e spavento, che sono generatori di odio nelle comunità, siano esse il paese o il quartiere. Piuttosto, preoccupa di più la fuga, dall’Italia, degli immigrati, non l’invasione. Almeno per due motivi. Il primo per garantire una crescita demografica adeguata, visto che gli immigrati bilanciano in parte il calo delle nascite: nella nostra regione l’indice di natalità delle donne straniere è di 1,69 figli contro 1,3 delle italiane. Poi per non disperdere forza lavoro. Così come sta accadendo tra i giovani italiani, infatti, anche nel Lazio stanno diminuendo i nuovi arrivi per lavoro, e le persone più qualificate si spostano verso Paesi che offrono maggiori opportunità. Non a caso solo 180 lavoratori stranieri dipendenti nel settore privato sono inquadrati come dirigenti. La crisi economica ha colpito duramente anche gli immigrati, tanto che dal 2008 al 2014 il tasso di occupazione tra i lavoratori stranieri in età lavorativa è sceso dal 48% al 34,1%. Dai dati relativi all’occupazione ricavati dal Coordinamento generale statistico dell’Inps, invece, si conferma la crescita esponenziale dell’imprenditoria degli immigrati: dal 2008 al 2014 sono raddoppiati i lavoratori autonomi stranieri passati da 22.184 a 41.751, circa 13% del totale. Le comunicazioni obbligatorie fotografano l’andamento del mercato del lavoro nel corso del 2015. A fronte di 1.571.033 contratti di lavoro attivati, 295.083 sono quelli di lavoratori stranieri (18,8%). Di questi, 240.432 sono rapporti di lavoro attivati nei Servizi (quindi ristorazione, servizi sociali, servizi alle famiglie), 22.981 nell’agricoltura, 14.442 nelle costruzioni, 8915 nel commercio e 8313 nell’industria. A fronte di 1.512.521 cessazioni, quelle riguardanti i lavoratori stranieri sono state 278.292 (18,3%). L’entrata in vigore della legge regionale di riforma del sistema integrato dei servizi sociali, ottenuta anche grazie al contributo del sindacato, ha segnato un cambio di passo. II piano regolatore sociale della Regione Lazio, dovrà necessariamente trovare l’articolazione necessaria per il Piano Immigrazione, anche per recuperare la mancata applicazione del provvedimento specifico che risale al 2008. Rimane aperta l’annosa questione dei finanziamenti, a partire proprio dalla legge regionale n°10 sull’immigrazione. “Il tema dei finanziamenti non è mera contabilità e non è secondario – dichiara Andrea Cuccello, segretario generale Cisl Lazio-. La Regione Lazio spende 2,3 mld per spese correnti di cui solo 140 mln per politiche sociali: al netto dei trasferimenti statali, investe meno di Emilia e Toscana per l’inclusione sociale. Quindi, visto che nel 2016 è stata approvata una nuova legge sulle politiche sociali ci attendiamo, rispetto anche alle dichiarazioni di Zingaretti, almeno 15 milioni in più da destinare alle persone più fragili. Una regione veramente solidale deve fare fatti concreti, non chiacchiere. Le risorse europee, a partire da quelle che derivano dal Fondo Sociale Europeo, devono essere impiegate meglio, e la regione deve farsi promotrice di un più forte coordinamento interistituzionale, inserendo il sindacato confederale nel Tavolo sull’immigrazione con Prefetture e Anci. Serve un deciso rafforzamento dei Consigli Territoriali per Immigrazione, all’interno di un Patto territoriale per emersione dal lavoro nero, che coinvolga i sindacati confederali e di categoria, le istituzioni, organi di controllo, le rappresentanze sociali e le associazioni. La legge sul caporalato apre uno scenario nuovo, pieno di prospettive. Il tempo degli alibi è finito. Occorre agire”.

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