“La recente pubblicazione delle linee guida ministeriali per il controllo del rischio microbiologico da STEC (Escherichia coli produttore di
Shiga-tossine) nella filiera lattiero-casearia, con particolare riferimento ai prodotti ottenuti da latte non pastorizzato, riapre una questione cruciale per l’agricoltura italiana”. Ad affermarlo è il presidente nazionale Terra Viva Claudio Risso. “Fondamentale è tenere ben presente il rapporto tra sicurezza alimentare, qualità produttiva e sostenibilità delle filiere tradizionali. Il latte crudo – prosegue Risso – rappresenta non solo una matrice alimentare, ma un patrimonio culturale, rurale e nutrizionale di valore immenso.
Le produzioni casearie ottenute senza pastorizzazione conservano una biodiversità microbica che è alla base del gusto, della specificità e della funzione territoriale di molti formaggi italiani. Queste produzioni sono spesso il frutto di tecniche tramandate, selezioni spontanee, affinamenti sapienti che non si possono ridurre a un protocollo industriale. Le misure di gestione del rischio devono essere fondate su una corretta analisi dei dati epidemiologici, devono distinguere tra livelli di rischio reali e potenziali, e soprattutto devono essere applicabili nella realtà produttiva, evitando che l’eccesso di cautela si trasformi in esclusione sistemica dal mercato”.
“La questione non è solo italiana – afferma Risso – in Francia, paese leader nella produzione di formaggi a latte crudo, le autorità sanitarie si confrontano da anni con le implicazioni del rischio STEC. Il modello francese si basa su un approccio di gestione condivisa, nel quale i produttori vengono formati, responsabilizzati e coinvolti attivamente nelle strategie di prevenzione. Il consumo di formaggi a latte crudo, pur regolamentato con rigore, è incoraggiato come espressione del patrimonio gastronomico nazionale, la filiera ha lavorato con le autorità per elevare i controlli interni, implementare l’autocontrollo microbiologico, e rafforzare la tracciabilità”.
“In Italia – conclude Risso – dove la cultura casearia è profondamente radicata nelle aree interne, rurali e montane, il rischio è duplice: Tecnico-produttivo: l’adozione di criteri di controllo non modulabili rischia di porre fuori mercato piccole aziende, soprattutto quelle che operano in zone svantaggiate e con strutture artigianali. Socioeconomico: la chiusura o la contrazione di queste produzioni comporterebbe la perdita di presidi territoriali, di biodiversità agricola e culturale, e indebolirebbe le economie locali fondate su modelli sostenibili. Occorre dunque una visione più ampia. La sicurezza alimentare è un bene pubblico, ma lo è anche la sopravvivenza delle filiere di qualità. Le norme
devono essere costruite con chi produce, in modo trasparente, partecipato, aggiornato ai dati reali e alle buone pratiche internazionali. Terra Viva è a fianco dei produttori che da sempre operano nella legalità, nel rispetto del consumatore e nella valorizzazione del territorio. Serve quindi un nuovo equilibrio tra regolazione e valorizzazione, tra tutela sanitaria e identità produttiva, tra standard e tradizione”.