“Con il 18% del valore aggiunto attribuibile alla forza lavoro straniera, l’agricoltura si è affermato nel 2024 come primo settore tra quelli a trazione migratoria, a maggior ragione bisogna ripensare al più presto ai fabbisogni formativi e a un mercato del lavoro più efficace e trasparente, che valorizzando gli enti bilaterali agricoli territoriali possa favorire un incrocio più efficiente tra domande e offerta di lavoro, come sperimentato positivamente in alcuni territori, anche in vista di un’emergenza manodopera che si appresta a peggiorare dato il massiccio ricambio legato ai prossimi pensionamenti”.
Lo scrive sui profili social della Fai-Cisl il Segretario generale Onofrio Rota commentando il nuovo rapporto annuale della Fondazione Moressa sull’economia dell’immigrazione, presentato oggi al Cnel e alla Camera dei Deputati. “I dati presentati oggi – aggiunge il sindacalista – confermano che i lavoratori stranieri producono 177 miliardi di valore aggiunto, dando un contributo al PIL del 9%, inoltre stanno contribuendo positivamente alla crisi demografica, dato il tasso natalità più alto, con 9,9 nati ogni mille abitanti tra gli stranieri contro il 6,1 tra gli italiani, e il tasso di mortalità più basso, con 2,1 per mille contro il 12,3. Sono dati che ribaltano una narrazione dominante spesso apocalittica dei flussi migratori e che devono spingere istituzioni e parti sociali a rafforzare le forme di emersione dall’illegalità e dal lavoro nero, che purtroppo rimane una piaga ancora ben presente nella nostra agricoltura e si avvale in maggioranza di lavoratori immigrati”.
“Coerentemente con il nostro lavoro di ricerca, ‘Made in Immigritaly’, con cui abbiamo messo in risalto luci e ombre della condizione dei lavoratori stranieri nel made in Italy agroalimentare – conclude Rota – anche i dati emersi oggi devono spingerci a migliorare le tutele contrattuali e tutte quelle norme che ancora ostacolano la piena inclusione sociale, oltre che economica e formale, dei lavoratori stranieri, ad esempio agevolando i ricongiungimenti familiari e riconoscendo forme di acquisizione della cittadinanza più avanzate di quella attuale”.