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Siccita’. Rota (Fai Cisl): ”Emergenza destinata a ripetersi semza investire sul lavoro”

Pubblicato il 23 Giu, 2022



“La crisi idrica che stiamo vivendo non è la prima e non sarà l’ultima. Lo scenario, per quanto tragico, può essere però governato. Perché se è vero che fiumi e montagne sono le prime sentinelle del clima, abbiamo altrettante sentinelle del territorio in grado di intervenire e incidere con buone pratiche e lungimiranza. Sono quelle che dovremmo chiamare con orgoglio le ‘tute verdi’, i lavoratori e le lavoratrici dell’agroalimentare, dei consorzi di bonifica, della forestazione. Categorie che, come sosteniamo da tempo con la nostra campagna ‘Fai bella l’Italia’, bisogna rendere protagoniste di un nuovo rapporto tra persona e ambiente”. Lo scrive il Segretario Generale della Fai-Cisl, Onofrio Rota, in un intervento pubblicato oggi sul quotidiano digitale ilsussidiario.net.“Per passare da una gestione emergenziale a una più strutturale dei cambiamenti climatici – scrive Rota – occorre una sinergia tra sindacati, imprese e istituzioni, affinché siano intraprese una serie di azioni di corto, medio e lungo periodo, che come Fai Cisl stiamo promuovendo da tempo. Dotare i territori di impianti a pioggia e manichette, praticare rotazioni, costruire invasi, qualificare i consorzi di bonifica anche in termini di produzione energetica, con la possibilità di installare pannelli fotovoltaici galleggianti senza consumare altro prezioso suolo agricolo. E poi: valorizzare la bilateralità per migliorare il mercato del lavoro, per formare i lavoratori nell’utilizzo delle nuove tecnologie, che parlano il linguaggio dell’agricoltura 4.0 e offrono tante possibilità di gestione virtuosa dell’acqua. E ancora: programmare un uso produttivo e rigenerativo dei boschi, anziché abbandonarli a sé stessi in nome di un’ambigua e pericolosa idea di tutela ambientale. E infine: gestire in modo partecipato e lungimirante gli 880 milioni previsti dal Pnrr per le infrastrutture irrigue, in modo coerente con la Strategia Europea per il Suolo al 2030. Coltivare una transizione ecologica, insomma, che non impatti negativamente sul lavoro ma, al contrario, possa rappresentare nuove opportunità di crescita e sviluppo sostenibile”. “Tutto questo è possibile – aggiunge il sindacalista – purché si comprenda il principio che a fare la differenza, nel lungo periodo, sarà sempre il capitale umano. Non c’è tutela del pianeta senza il lavoro qualificato, ben retribuito e contrattualizzato”.

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