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Emilia Romagna. Flaei Cisl: Alluvione Emilia Romagna, emergenza climatica, vecchie e nuove soluzioni

Pubblicato il 29 Mag, 2023

La drammatica alluvione che ha colpito l’Emilia Romagna con le sue vittime innocenti ha riacceso il dibattito sulle continue emergenze ambientali, il cambiamento climatico, le eventuali responsabilità dell’uomo e le relative scelte dei governi, riproponendo anche interpretazioni ideologiche che rischiano di allontanare le vere soluzioni, privilegiando speculazione e propaganda. Nessuno nega che il riscaldamento del pianeta, gli effetti indotti dalle attività umane e dallo sviluppo economico prodotto con fonti fossili stiano accentuando pure le criticità climatiche (seppure nessuno può avere la certezza assoluta che si tratti di cause esclusivamente antropiche). Ma di fronte agli scenari attuali che richiedono interventi urgenti, noi affermiamo innanzitutto che sono semplicemente velleitarie le soluzioni miracolistiche enfatizzate da un’ecologia infantile, lontana dalla realtà. Ci poniamo alcune domande! Il problema lo risolvono in poco tempo gli italiani ricorrendo a produzioni discontinue da fonti rinnovabili? Li risolve l’Europa con il suo 7% di CO2 prodotta nel pianeta? Li risolve la Cina con le sue decine di nuove centrali a carbone (e nucleari)? Oppure l’India o il Brasile? Li risolve la Germania in confusione totale, che spegnendo le Centrali nucleari e mandando al massimo le Centrali a carbone/lignite sta immettendo nell’aria, milioni di tonnellate di CO2/anno rispetto a quanto faceva qualche mese fa? O li risolve la Francia con le sue sei nuove centrali nucleari? Occorre decarbonizzare il pianeta: siccome ci sono ritardi allora la soluzione vista in questo ultimo periodo è imbrattare i monumenti, asserendo che “la soluzione esiste, basta volerlo”. Domandiamo: è così? L’Italia è seconda in Europa per intensità di installazioni FER: a chi compete l’ulteriore sviluppo? Cosa manca perché ciò avvenga? Ammesso che solo questo sia il problema, è lo Stato che deve installare i pannelli solari e le pale eoliche, oppure spetta ai privati? E dove, come, quando debbono farlo? E perché non lo fanno, nonostante le convenienze e gli obiettivi di uscita dalle fonti fossili stabiliti da tempo in ambito UE? Anzi, l’Italia accumula continui ritardi rispetto ai programmi europei e i tempi programmati si allungano. Gli obiettivi dei piani fissati al 2035 e al 2050, già è noto, subiranno inevitabili slittamenti: l’Italia non riesce a realizzare annualmente neppure la metà delle quote di programma. C’è un modo per accelerare i tempi? E quale? Lo domandiamo perché, pur a fronte di evidenti ritardi, autorevoli associazioni nazionali teorizzano e danno notizia di risultati addirittura superiori alle aspettative e ai traguardi fissati per la transizione energetica del paese. Le fonti fossili hanno permesso di creare, in un secolo e mezzo, la modernità, lo sviluppo, le libertà dei popoli, ma nessuno, oggi – tranne chi ne possa avere interesse diretto – le difende. Il loro utilizzo, per molto tempo ancora, specie del gas, resta purtroppo insostituibile, indispensabile a garantire continuità e sicurezza ai sistemi. E questo, fintantoché le tecnologie non raggiungeranno obiettivi e parametri qualitativi allo stato ancora lontani. Proprio in queste ore la FLAEI si è pronunciata con spirito costruttivo sulle proposte del Ministero dell’Ambiente e Sicurezza Energetica riguardo il PNIEC, il piano integrato per l’energia e il clima (si veda in proposito la nostra circolare n. 23R106 del 26 maggio u.s.); uno strumento con cui si identificano politiche e misure per il raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni all’anno 2030. Un appuntamento annuale che “rimastica” una strategia di intervento, spesso sterile, a cui partecipano in troppi e con troppe idee diverse, seppure monocordi. La verità è che nessuno è in grado di portarle a sintesi: troppi i soggetti istituzionali di sistema, troppi i decisori senza poteri, troppi i poteri sovrapposti. Un Paese che dipende dall’estero per oltre il 70% dei suoi fabbisogni, per mancanza di fonti primarie e di materiali, non può salvarsi consegnandosi alla mano invisibile del mercato; non può sperare nella vocazione ambientalista degli italiani e nell’invocare volenterosi cittadini che più spesso vogliono fare affari con l’energia; non può ignorare i numeri, i dati concreti, le modalità di funzionamento del sistema elettro-energetico. Continuando ad ascoltare le solite ricette trite e ritrite (forse ripetute superficialmente per mancanza di coraggio?), il rischio pieno è quello di passare da una dipendenza dalle fonti fossili a quello da fonti minerali. Ad oggi nessuno è in grado di smentire questa nostra affermazione. Non esistono ancora le condizioni per la transizione attesa nei tempi stabiliti, in primo luogo perché – basta guardare – non si è ridotta più di tanto la dipendenza del Paese dall’estero. C’è in corso, questo sì, un processo graduale che migliora le condizioni di clima e ambientali di anno in anno, mentre si affacciano nuove tecnologie, ma nuovi modi di produrre che vanno sperimentati e valorizzati nel tempo, prima di divenire impiegabili su scala industriale. Questo è lo stato dell’arte. Chi racconta scenari diversi, chi profetizza soluzioni facili e a breve (2030), “mente sapendo di mentire”. Oppure si illude allontanandosi dalla realtà. Noi, al contrario, manteniamo la fiducia in ogni persona di buona volontà e di buon senso che vive all’interno delle aziende elettriche, richiamando la responsabilità della politica alla quale raccomandiamo di “non buttare il bambino con l’acqua sporca”.

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