Un Primo Maggio di profonda riflessione per una Festa del Lavoro che mai come quest’anno cade in un momento terrificante: la guerra tra Russia e Ucraina, le congiunture internazionali e nazionali ancora completamente stravolte, come se non bastassero i danni causati dalla pandemia da Covid 19. Tutto questo però non ci induce a tirare i remi in barca. No: ci sprona a restare in prima fila, più concentrati e determinati che mai.
LE PREMESSE
Ma c’è dell’altro, c’è molto di più, anche nel Lazio: la progressiva scomparsa del ceto medio, i morti e gli infortuni sul lavoro che ci rimandano al tema della sicurezza e dei diritti, salari sempre più bassi e occupazione precaria che rappresentano un quadro a tinte ancora fosche nonostante le stime di crescita. E poi tutto il resto: dal sommerso al caporalato, dal gap di genere allo sfruttamento dei più deboli. Un Primo Maggio di profonda riflessione per una Festa del Lavoro che deve proiettarci verso il domani tra rivendicazioni, una nuova partecipazione e la presa di coscienza che molto abbiamo fatto e che molto però resta da fare. Per questo dobbiamo “Esserci per cambiare”, come abbiamo detto al nostro congresso regionale del Lazio. Le continue crisi di questi anni hanno profondamente compromesso l’istruzione, la formazione e l’occupazione dei giovani, rendendo ancora più difficile il loro ingresso nel mondo del lavoro. Ma le crisi hanno anche minato i redditi e le certezze delle famiglie, devastando il ceto medio. E’ questo il grande dramma del Lazio.
Oggi la carenza di materie prime, l’aumento dei costi delle stesse, dell’energia, le incertezze legate alla guerra sono una spada di Damocle ulteriore sulla ripresa laziale. Soprattutto sulla produzione manifatturiera. Le previsioni ci dicono che il Pil della Regione crescerà del 7,5%. Ma ad oggi c’è una ripresa fisiologica e non sistematica. Una ripresa precaria, non strutturale. Non può bastare.
L’attività economica nel Lazio è cresciuta del 5,3%, meno della media nazionale. La spesa dei turisti stranieri è stata circa il 70% in meno rispetto a quella del primo semestre 2020. A soffrire i comparti maggiormente legati al turismo (alberghiero, ristorazione, commercio). Ma anche nell’industria e nei servizi gli investimenti sono stati deboli. E’ cresciuta la disoccupazione e le misure di sostegno ai redditi hanno riguardato il 7,7% delle famiglie (più della media nazionale). Il 46% degli espulsi dal mondo del lavoro è concentrato nelle regioni meridionali. E il Lazio è un territorio di frontiera, dove le dinamiche salariali sono tendenzialmente piatte (busta paga bassa), dove il tasso di occupazione rimane basso e dove l’eccessiva flessibilità del mercato del lavoro si sostanzia in un ricorso massiccio al tempo determinato e al part time involontario.
Avevamo ragione quando dicevamo che la ripresa, minima, è precaria. Il Lazio, dicevamo, è un territorio di frontiera e una regione complessa, con tre zone distinte: Roma, l’Alto Lazio e la zona Sud, forse più vicina alle problematiche del Meridione. La classifica del quotidiano economico Il Sole 24 Ore sulla qualità della vita è chiara: Roma al 13° posto in Italia (guadagna 19 posizioni), Rieti al 75°, Viterbo al 78°, Frosinone all’82°, Latina all’83°. Non c’è bisogno di aggiungere molto.
DISOCCUPAZIONE
I dati disponibili sono tanti, ma limitarsi ad enumerarli tutti non dà il quadro esatto della situazione. Vanno letti, analizzati, selezionati e confrontati. Nel mercato del lavoro nel Lazio il numero dei disoccupati è cresciuto tornando ai livelli medi pre-pandemia. In particolare, si osserva un forte incremento tra chi si affaccia per la prima volta sul mercato del lavoro (disoccupati senza esperienza) e tra chi torna a cercare attivamente una occupazione (ex inattivi). E in quello stesso periodo il numero di persone che non cercano lavoro e comunque disponibili a lavorare se fosse concessa loro un’occupazione è passato da 232.339 unità a 300.822: un aumento di 68.483 unità, il 2,7%.
Il tasso di disoccupazione nel Lazio è complessivamente sceso dal 9,9% al 9,1%. Ma non è omogeneo. E’ più alto a Frosinone (11,3%) e Latina (11,4%) rispetto a Rieti (6,8%), Roma (8,7%) e Viterbo (8,9%). E con la sola eccezione di Roma, dove il tasso di disoccupazione maschile e femminile è pressoché uguale, in tutte le altre province il tasso per le donne è più elevato rispetto agli uomini. Latina: 15,3% per le donne. Frosinone: 14,1% per le donne.
REDDITI DELLE FAMIGLIE
Molto interessante l’analisi dell’Istat su questo punto specifico. Rileva l’Istituto nazionale di statistica: Nel Lazio, più che in Italia, la principale fonte di reddito delle famiglie è costituita dal lavoro dipendente. Questa condizione è condivisa dal 47,5 per cento delle famiglie residenti in regione, contro il 45,1 per cento delle famiglie residenti in Italia. Sebbene meno presente che in Italia, nel Lazio è comunque molto importante (35,9% delle famiglie) anche la percentuale di quelle che lavorano prevalentemente su redditi da trasferimenti pubblici”. E ancora: “Una particolare attenzione va riservata ad alcune tipologie di lavoratori che, per la loro maggiore vulnerabilità a causa dell’instabilità delle posizioni occupazionali, sono particolarmente deboli nei periodi di crisi.
SICUREZZA SUL LAVORO
Allarmanti tutti i dati sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. Nel Lazio la strage delle morti bianche ci conferma in modo drammatico che i dati assoluti diminuiscono soltanto al diminuire delle persone occupate.
Dal 1999 nel Lazio sono morti 224 operai edili, a partire dal 1 gennaio 2003 al 31 dicembre 2021 di cui 134 a Roma e Provincia, 34 a Latina, 36 a Frosinone, 16 a Viterbo,4 a Rieti.
Ben 33.251 infortuni sul lavoro nel Lazio tra Gennaio e Novembre 2021, 99 quelli mortali nello stesso periodo. L’analisi territoriale nel primo trimestre 2022, invece, rispetto al primo trimestre del 2021 evidenzia un incremento delle denunce di infortunio all’Inail con i maggiori aumenti percentuali che si segnalano principalmente nel Lazio (+73,8%), con il triste primato del terzo posto in Italia.
La massa delle retribuzioni dei lavoratori dipendenti del Lazio si è attestata a 44,3 miliardi di euro, pari al 12,77% del totale nazionale.
CONCLUSIONI
Qualche mese fa come Cisl Regionale lanciammo l’allarme perché dovevamo prepararci a fronteggiare una sorta di “tempesta perfetta”. E non era ancora scoppiato il conflitto tra la Russia e l’Ucraina. Ma ci sono delle situazioni che affondano le loro radici da lontano e che dobbiamo tenere presenti. La Cisl del Lazio ha fatto della difesa del lavoro nel tempo e nello spazio la propria bandiera. Oggi dobbiamo accettare e vincere la sfida di ampliare la nostra visione di rappresentanza. Perché tante professioni verranno superate a causa del disallineamento con le richieste del mercato e tutto questo dovrà essere affrontato tramite un cambiamento culturale verso un mercato del lavoro più dinamico e con conoscenze e competenze in aggiornamento continuo. Vuol dire che la formazione sarà al centro del sistema. E’ importante che il Lazio confermi la netta capacità di recupero delle eccellenze industriali, evitando però altri casi Catalent. La burocrazia non può rappresentare un ostacolo alla crescita ma neppure un alibi per chi è chiamato a prendere decisioni e a dare risposte. La Cisl nel Lazio continuerà a fare la sua parte, restando concentrata sui diritti e sulle esigenze dei lavoratori e sullo sviluppo integrale, con la persona al centro. Ponendo la massima attenzione a tutte le fragilità. Non volteremo la testa dall’altra parte, nemmeno in relazione alla guerra. Il nostro segretario generale Luigi Sbarra ha detto subito: “Con l’attacco all’Ucraina, la Russia sta attaccando l’Europa, i suoi valori, la sua stabilità”. La nostra posizione è questa. Non ci riconosciamo nelle 50 sfumature di “neutralità attiva” che pervadono la politica italiana. Al contempo, mai come oggi il lavoro va difeso e va salvaguardato il potere d’acquisto di lavoratori dipendenti e pensionati. Un ultimo pensiero alle famiglie di coloro che sono morti e a quanti hanno subìto incidenti sul lavoro. Come ha ricordato Papa Francesco, sono persone, non numeri. Anzi, sono amici, colleghi di lavoro che la mattina si sono alzati per andare a guadagnarsi la giornata e non che non sono tornati a casa. La fascia di età più colpita dagli infortuni mortali sul lavoro è quella tra i 55 e i 64 anni. Questo ci dice quanto ci sia ancora da fare, quanto sia attuale la battaglia sui diritti e sulla sicurezza. Un Primo Maggio di profonda riflessione per una Festa del Lavoro che deve proiettarci verso il domani tra rivendicazioni, una nuova partecipazione e la presa di coscienza che molto abbiamo fatto e che molto però resta da fare.