Quale futuro si prospetta per i diritti dei cittadini con l’attuazione della legge sull’autonomia differenziata? E quali scenari di configurano per le richieste delle Regioni sulle specifiche competenze? Se n’è parlato questa mattina al Consiglio generale della Fnp Cisl Padova Rovigo, svoltosi all’hotel Petrarca di Montegrotto Terme. Nella sua relazione introduttiva, il segretario generale del sindacato dei pensionati Cisl Giulio Fortuni ha illustrato i contenuti della legge e le posizioni politiche ad essa collegate, con le aspre polemiche che ne hanno segnato l’approvazione e le reazioni dei presidenti delle Regioni del Nord. «In questo mesto panorama costellato da incoerenza e da opportunismi politici di bassa lega – ha osservato Fortuni – la nostra Cisl tiene un profilo attento ai diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione, con atteggiamento non pregiudiziale e con un approccio costruttivo». Per la Cisl, «la fase attuativa deve essere condivisa e concertata con le parti sociali, non imposta» e «i Lep, livelli essenziali delle prestazioni, che riguardano i diritti civili e sociali devono, come definito dalla Costituzione, essere garantiti e finanziati in modo uniforme sul territorio nazionale». La riforma inoltre, sottolinea Fortuni, «non può prescindere da adeguati meccanismi di solidarietà e di perequazione finanziaria per i territori con minore capacità fiscale, in osservanza del principio solidaristico sancito dalla Costituzione». La relazione sulla riforma è stata quindi tenuta da Ivo Rossi, già dirigente del ministero degli Affari regionali ed esperto del processo autonomista. «L’autonomia è stata caricata da una valenza simbolica straordinaria e il cittadino fatica ad orientarsi», ha esordito Rossi nel descrivere il percorso del regionalismo, che ha attraversato tutta la storia del Paese, dall’unità d’Italia alla riforma del titolo V, al referendum consultivo del 2017, «che ha avuto sempre come epicentro il Veneto. Il quesito era molto generico e ha aperto un dibattito che si è trascinato per anni», ricorda Rossi. Il tema che agita il dibattito è il cosiddetto residuo fiscale, cioè la differenza tra quanto una regiona versa in termini di tasse e quanto riceve in servizi. «Il Veneto dice di volerlo trattenere. Il governo ha ritenuto che fosse necessario definire una legge quadro che sarebbe servita poi ad inquadrare ogni singolo negoziato. Le cosiddetta legge Calderoli, che ne è seguita, è frutto di profonde modifiche. La commissione Cassese ha esaminato le 23 materie per individuare le competenze che riguardano le materie Lep. La legge prevede che le risorse vadano erogate in termini di compartecipazione al gettito d’imposta generato in quel territorio. Facciamo l’esempio della pubblica istruzione, che è opinione diffusa debba rimanere in capo allo Stato. E’ prevista una ricognizione annuale fra risorse necessarie per il finanziamento delle funzioni di spesa nella regione e andamento del gettito dei tributi assegnati alla loro copertura. Le legge dice che i criteri per l’attribuzione delle funzioni, delle risorse umane e strumentali sono affidate alle singole intese. Ma i criteri generali devono essere unitari». Un cenno storico è venuto anche dal segretario generale della Cisl Padova Rovigo Samuel Scavazzin. «Oggi parliamo di autonomia nel quarantesimo anniversario della morte di Antonio Bisaglia, senatore polesano, il primo a capire che poteva esserci una questione veneta. La Cisl è un sindacato riformista, quindi non intendiamo alzare le barricate contro la riforma, ma la legge deve salvaguardare l’unità d’Italia e garantire servizi a tutte le Regioni. Il sindacato deve essere presente e partecipare alla discussione sulla definizione dei Lep. Se pensiamo al Dm77 della nostra Regione, ragioniamo sempre di livelli di prestazione. La nostra partecipazione dev’essere massiva e competente, a tutti i livelli. Dobbiamo cogliere questa occasione per definire i diritti che vanno garantiti a tutti i cittadini». La segretaria generale della Fnp Cisl del Veneto Tina Cupani ha posto l’accento sulla sanità: «Sappiamo che a parità di risorse date, in molte Regioni i Lea – livelli essenziali di assistenza – sono garantiti, in altre no. Quindi come Cisl dobbiamo svolgere un’azione di pungono verso quei sistemi regionali che non riescono a garantire i servizi ai cittadini». Al termine, le conclusioni sono state tratte dal segretario generale nazionale della Fnp Cisl Emilio Didonè, che ha messo l’accento sull’esclusionedei copri intermedi dai processi decisionali. «Gli ultimi governi – ha sottolineato – hanno fatto a gara nell’escludere le Organizzazioni Sindacali dal dibattito, nonostante l’Italia sia l’unico Paese dove il sindacato ha ancora numeri importanti. La posizione della Fnp Cislsull’autonomiadifferenziata è questa: il sostanziale fallimento delle politiche per il Sud imporrebbe da tempo una riflessione su cosa e come cambiare. E per trovare una soluzione a quella che don Sturzo definiva una questione non meridionale, né settentrionale, ma nazionale, non si possono avere sistemi sanitari o istruzione diversi. L’obiettivo comune dev’essere il bene dei cittadini e la questione sociale. Il punto non è impedire a chi sta facendo bene di fare meglio nell’erogare i servizi pubblici e garantire l’impresa privata, ma di non farlo a spese del resto del Paese. Il grido i molte Regioni dei del Sud e anche di molti Comuni del Nord, che i vescovi hanno saputo interpretare, non va ignorato, ma ascoltato. Le Regioni percepiscono 2.800 euro a cittadino per la sanità, che corrisponde a 134 miliardi. La differenza con altri Paesi europei è abissale».Sulle liste d’attesa: «Alcune Regioni hanno aperto il confronto, altre no. Abbiamo scritto una lettera al ministro su questo argomento. Sono quattro anni che stiamo battendo su questo tasto. Ora occorre affrontare strutturalmente il problema, averne una chiara dimensione, trovare le risorse e il personale». Sulla sanità: «La carenza di personale non può essere una sorpresa. I dati ci sono e ci dovrebbe essere una programmazione. Questo Paese ha bisogno di discontinuità. La sanità è una partita importante. Quella pubblica è passata dal 92% al 52,48%. Bisogna impedire quella migrazione sanitaria che sta impoverendo sempre di più Campania, Sicilia e Calabria». Sulle pensioni: «Abbiamo gli stipendi più bassi d’Europa e più tassati. Le retribuzioni sono in affanno, stanno aumentando gli anziani e i lavoro più povero. Se in questo Paese non riusciremo a dividere assistenza e previdenza, non eviteremo la spada di Damocle dell’Europa».