Un incontro con l’autrice Anarkikka e una mostra all’istituto alberghiero Calvi di Longarone per continuare a dire no alla violenza contro le donne. Sarà inaugurata lunedì 1° dicembre la mostra “Non chiamatelo raptus” dell’illustratrice Stefania Spaniò, in arte Anarkikka, che alle 11.15 incontrerà gli studenti e le studentesse della scuola per un confronto sulla violenza di genere. Dopo il flash mob del 25 novembre in piazza Duomo a Belluno, Cgil, Cisl e Uil proseguono nella strada dell’impegno per combattere stereotipi e radici culturali che sono l’origine della violenza e della disparità. All’istituto di Longarone portano la mostra itinerante di Anarkikka, simbolo di impegno civile e di lotta contro stereotipi e discriminazioni, le cui opere sono state utilizzate anche nell’evento simbolico “Mai più donne a terra, mai più violenza” di martedì scorso. Anarkikka, illustratrice e vignettista, attivista femminista, negli ultimi dieci anni ha “disescritto” (neologismo che le ha regalato la linguista Vera Gheno), con un’ironia particolare e forte capacità di sintesi, la realtà della vita delle donne nel nostro Paese. Nella scuola di Longarone saranno esposte 40 vignette dell’artista, che incontrerà gli studenti dalle 11.15 alle 12.30. La mostra sarà visitabile fino domenica 7 dicembre. Il progetto “Non chiamatelo raptus” – il libro edito da People e la mostra – approfondisce il tema della violenza e del linguaggio che si utilizza nel raccontarla. Linguaggio che si fa complice perché spesso veicola e rafforza una narrazione sbagliata della sopraffazione, che trasforma la gelosia in attenzione, il possesso in amore, il delitto in raptus, inteso come risposta “passionale” alla disperazione e al tormento. Un linguaggio assolutorio, che nell’assolvere il criminale minimizza il crimine, nel relegare alla follia individuale deresponsabilizza una comunità che non fa i conti con la propria identità, i propri valori, il proprio sistema di significati. Assolve l’uomo e getta ombre sulla donna, sulla vittima, che diventa l’istigatrice del gesto folle, la responsabile, quella che “se l’è (sempre) cercata”. Quella, che ancora una volta, ha “la colpa” del suo stesso esistere.


