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Emilia Romagna. Covid, Cgil Cisl Uil :per i genitori che lavorano nei servizi pubblici essenziali è ora impossibile prendersi cura dei figli che rimangono a casa

9 marzo 2021 – La decisione di collocare in zona rossa le province di Modena, Bologna, Ravenna, Rimini, Forlì-Cesena e in arancione scuro Reggio Emilia è stata adottata dalla Regione che deve a questo punto assumere decisioni conseguenti in ordine alle criticità che derivano dalla chiusura delle scuole per gli operatori sanitari, i lavoratori impegnati nei servizi essenziali e tutti gli altri lavoratori. A oggi infatti latita anche l’annunciato decreto legge sui voucher baby sitter e congedi straordinari. Lo affermano Cgil-Cisl-Uil Emilia-Romagna, per le quali non è in discussione la scelta restrittiva di fronte alla crescita dei contagi e all’aumento dei ricoveri negli ospedali. «Tuttavia dal momento che si chiedono sacrifici così pesanti ai cittadini, crediamo sia doveroso predisporre ogni misura possibile per alleviare i disagi. Riteniamo che, in questo caso, la Regione non abbia fatto del suo meglio, anzi – dicono i sindacati – abbia contribuito a determinare tra i genitori che lavorano nei servizi pubblici essenziali indispensabili, a partire dalla sanità, l’impossibilità di prendersi cura dei figli (anche in tenerissima età) che rimangono a casa». Perché la Regione non ha fatto del suo meglio? Secondo Cgil-Cisl-Uil la risposta si trova nel “Documento per la pianificazione delle attività scolastiche, educative e formative in tutte le Istituzioni del Sistema nazionale di Istruzione”, recepito nel decreto ministeriale 26 giugno 2020, n. 39, Piano Scuola 2020/21. Vi è testualmente scritto: ”Nel caso di nuova sospensione dell’attività didattica l’Amministrazione centrale, le Regioni, gli Enti locali, gli enti gestori delle istituzioni scolastiche paritarie e le istituzioni scolastiche statali opereranno, ciascuno secondo il proprio livello di competenza, per garantire la frequenza scolastica in presenza, in condizioni di reale inclusione, degli alunni con disabilità e degli alunni e studenti figli di personale sanitario o di altre categorie di lavoratori, le cui prestazioni siano ritenute indispensabili per la garanzia dei bisogni essenziali della popolazione. La circostanza di cui al presente paragrafo sarà regolata da apposito atto dispositivo”. Questa disposizione è stata confermata dalla nota del Ministero dell’Istruzione del 4 marzo, che sostanzialmente conferma ciò che già aveva affermato a novembre, e cioè che: ”Nell’ambito di specifiche, espresse e motivate richieste, attenzione dovrà essere posta agli alunni figli di personale sanitario (medici, infermieri, oss, osa ecc.), direttamente impegnato nel contenimento della pandemia in termini di cura e assistenza ai malati e del personale impiegato presso altri servizi pubblici essenziali, in modo che anche per loro possano essere attivate, anche in ragione dell’età anagrafica, tutte le misure finalizzate alla frequenza della scuola in presenza”. «Questo decreto ministeriale è richiamato negli allegati al nuovo Dpcm del governo Draghi, a conferma che, a nostro giudizio, è ancora del tutto applicabile. La Regione invece cosa fa? Il 6 marzo, insieme ad Anci, – spiegano i sindacati – manda una richiesta di chiarimenti al Governo sostenendo che non vi sarebbero solide basi giuridiche per garantire la didattica in presenza ai figli di chi, per esempio è impegnato nei reparti ospedalieri per assistere i malati, oppure gli addetti di altri servizi essenziali per i cittadini e quei genitori impiegati in prima linea in attività di contrasto alla pandemia. È ora che chi decide si assuma anche la responsabilità di individuare criteri per scegliere le categorie di lavoratori definiti essenziali e che hanno bisogno di essere aiutate. Ma bisognava farlo ieri, non, forse, dopodomani. Invece, affermando che non vi sono basi giuridiche per prendersi carico delle famiglie dei lavoratori dei servizi pubblici essenziali, si mette in discussione anche ciò che sarebbe chiaro almeno per il personale dei servizi sanitari esplicitamente citati, il quale anche in caso di introduzione di congedi straordinari ne potrà usufruire solo subordinandoli alle necessità assistenziali. La ratio della possibilità della didattica in presenza – concludono Cgil-Cisl-Uil Emilia-Romagna – era ed è legata al fatto che la collettività ha necessità che tutti i sanitari siano presenti nei luoghi di lavoro».

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