Veneto. Moda, tessile e chimica: il rischio dell’ingresso dei fondi stranieri

Pubblicato il 26 Mar, 2021

Belluno, 26 marzo 2021 – Aziende frammentate, cedute un po’ alla volta a fondi stranieri, che ne sviliscono il know-how e rischiano di lasciare solo macerie sul territorio. Siamo in prima linea a Belluno sulla vertenza Ideal Standard, ma preoccupati anche a Treviso di fronte a una serie di operazioni finanziarie e di cessioni che rischiano di stravolgere il tessuto industriale locale della moda, del tessile e della chimica. Il copione è sempre lo stesso e sempre più diffuso negli ultimi anni: fondi di investimento stranieri acquisiscono rami di aziende locali o il 100% dell’impresa, mettendo in campo una governance sterile e a distanza, che spesso svuota di ruolo e responsabilità il management locale, lasciando disorientati sia i lavoratori che il gruppo dirigente locale. I fondi di investimento internazionali e le multinazionali certamente offrono delle enormi possibilità di sviluppo nel mercato globale, ma è altresì vero che si rischia di perdere il senso di appartenenza al territorio e quelle che eticamente dovrebbero essere le finalità dell’impresa sancite anche dalla nostra Costituzione, che, all’articolo 41, afferma come l’iniziativa economica privata sia libera, ma non possa svolgersi in contrasto con l’utilità sociale. Sempre più spesso si assiste allo svuotamento del ruolo dirigenziale locale, con il risultato che alla frustrazione del lavoratore che non ottiene risposte riguardo al proprio futuro, si aggiungono le difficoltà dei manager, che nella pratica non sono più né responsabili né interlocutori di chi, nella stanza dei bottoni dall’altro capo del mondo, decide se investire in uno stabilimento o sancirne la chiusura. E poco importa se a casa rimangono centinaia di lavoratori e lavoratrici: la lontananza e la maniera ‘asettica’ di prendere le decisioni, come se non riguardassero persone, famiglie e territorio, rendono tutto molto semplice. Le figure degli imprenditori del Dopoguerra, che rimboccandosi le maniche hanno dato lavoro a centinaia di persone, che passando in produzione conoscevano ad uno ad uno i loro ragazzi, le loro famiglie, e che in fondo, con tutti i limiti del caso, hanno rappresentato lo sviluppo del nostro territorio, è ormai un’immagine sbiadita. Al centro, la globalizzazione, processo realizzato solo parzialmente nei nostri territori. Purtroppo è mancata la forza di imporre il know-how e di mantenere posti di rilievo nei processi decisionali e di investimento, con il risultato che la continua ricerca del prodotto bello e innovativo non è stata accompagnata da un impegno reale al mantenimento del controllo dell’azienda. Il risultato è che oggi molte imprese rischiano di essere spazzate via o comunque ridimensionate o depotenziate senza che ci sia un interlocutore reale con cui discutere e confrontarsi. Da un lato ci sono gli imprenditori del territorio, con un profondo senso di appartenenza, come i Benetton, che hanno ripianato le perdite degli ultimi anni con oltre mezzo miliardo di euro e mantengono in piedi un’azienda con oltre 1.300 lavoratori, continuando a svolgere un ruolo importante dal punto di vista sociale e a pensare di poter tornare grandi nel mondo. Dall’altro anonimi fondi che prima si appropriano di nostre eccellenze dalle quali traggono solo benefici, con la possibilità di svuotare da un momento all’altro gli stabilimenti, che non sono solo un insieme di cose, ma anche e soprattutto di persone, conoscenze, abilità e professionalità. La questione va affrontata a livello sia nazionale che locale. Servono politiche industriali e orientamenti precisi da parte della politica che deve rendere più appetibile fare impresa che investire i capitali nella finanza: appellarsi a investitori locali solo quando qualcuno se ne va rischia di essere una partita giocata a tempo scaduto. È fondamentale continuare a rendere attrattivi i progetti d’impresa e di sviluppo nell’economia reale, definendo con chiarezza gli obiettivi su cui il sistema-Paese deve puntare (auto, chimica, moda, turismo ecc..). Il sindacato è maturato ed è un attore protagonista nei tanti processi di trasformazione e innovazione che stanno interessando l’impresa. Purtroppo sembra invece che molti imprenditori, sconfortati, abbiano abbandonato il campo da gioco, in una fase storica in cui è invece forte più che mai la necessità di riportare il Paese ad essere grande, e non a perdere i pezzi.

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