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Auto. Sbarra a Sky Tg24: “Decisione Ue impone una svolta su investimenti e governance concertata. 75mila i posti a rischio, il governo convochi i sindacati”

Pubblicato il 9 Giu, 2022

“La linea del 2035 tracciata ieri dal Parlamento europeo impone una svolta concertata nel governo della transizione di un settore emblematico e strategico come l’Automotive. Comparto che intercetta tutte le sfide del presente, a partire dalla trasformazione ecologica, e che richiede scelte precise di sostenibilità sociale”. Lo ha detto il segretario generale della Cisl, Luigi Sbarra, intervenendo oggi a SkyTg24. “In gioco ci sono almeno 75mila posti di lavoro, ai quali si aggiungono i posti dell’indotto. Se non vogliamo rischiare di desertificare queste realtà dobbiamo sbloccare gli investimenti, a cominciare da quelli  previsti in Manovra e nel Pnrr: miliardi indispensabili per reindustrializzare e fare in modo che ad ogni euro speso in tecnologia ne corrisponda un altro sulla difesa del lavoro. L’innovazione non è mai da temere, però è da governare. Dobbiamo farlo insieme per orientare questo passaggio epocale su obiettivi di progresso produttivo, ecologico, occupazionale e sociale. Per questo chiediamo l’immediata convocazione del tavolo con il ministro dello Sviluppo economico”, ha sottolineato Sbarra.

E poi intervenuto sul tema del salario minimo: “la Direttiva dell’Unione europea dice una cosa importante, giusta, che noi condividiamo in pieno, ovvero che gli interventi a sostegno dei salari vanno modulati a seconda delle caratteristiche dei singoli paesi” – ha osservato il leader della Cisl spiegando che “la direttiva indica due vie: da una parte il rafforzamento della contrattazione e un aumento del salario minimo per quegli stati che non hanno relazioni industriali sviluppate; e dall’altra, per chi come l’Italia, ha un sistema contrattuale esteso, che arriva a coprire più del 90%, quasi il 93%, l’Unione europea spinge giustamente ad estendere ed a rafforzare la contrattazione e le relazioni sindacali per coprire quelle aree non tutelate e non garantite dalla contrattazione. Ecco perché penso che non ci sia alcun obbligo né per gli uni né per gli altri, ma c’è una giusta sollecitazione. Quei paesi che hanno già una legge sul salario minimo la devono alzare fino ad arrivare ad una retribuzione dignitosa e devono sviluppare maggiore contrattazione. I Paesi come l’Italia che, ripeto, ha un sistema contrattuale esteso, che arriva a coprire più del 92%, sono le parti sociali a definire misure di rafforzamento e di estensione per coprire piccole nicchie del mercato del lavoro dove non esistono tutele e dove si praticano forme di lavoro nero, irrregolare o basse retribuzioni. Penso che questa sia una giusta sollecitazione, noi siamo aperti e disponibili per esempio a prendere come riferimento i trattamenti economici complessivi dei contratti maggiormente applicati nei settori di riferimento e di estenderli a tutte quelle aree non coperte dalla contrattazione”.

In che modo dunque una introduzione del salario minimo potrebbe nuocere ai lavoratori? L’idea di un salario minimo che fissi un compenso orario – ha poi spiegato Sbarra – rischia di schiacciare verso il basso altre retribuzioni. Perché a quel punto l’impresa potrebbe decidere di uscire dall’applicazione del contratto e di attestarsi sul rispetto rigoroso della legge con la cifra fissa sul compenso orario. Noi sappiamo che la retribuzione complessiva del lavoratore non è fatta solo di compenso orario fisso, perché si aggiungono altri istituti ferie, tredicesima, tfr, maggiorazioni, lavoro notturno, previdenza complementare, sanità integrativa ed è tutto questo che determina la retribuzione complessiva. E questi istituti solo il contratto riesce ad assicurarli e a garantirli, non la legge. Ecco perché – ha ribadito – è un tema che va maneggiato con cura. Perché la pezza rischia di essere peggiore del buco. Noi pensiamo che in questo paese c’è un tema di crescita salariale, c’è la necessità di alzare salari, stipendi, retribuzioni nel pubblico e nel privato, ma la via è quella della contrattazione”.

Alla domanda “sul numero dei lavoratori che si gioverebbero di un aumento a 9 euro del salario minimo: “difficile stabilirlo – ha detto Sbarra. Ci sono delle categorie che hanno dei salari bassi, pensiamo ad esempio al lavoro domestico. A me molte volte viene da sorridere quando alcuni teorizzatori del salario minimo per legge, rappresentando funzioni importanti di Governo, sottoscrivevano intese per il lavoro domestico a quattro euro e cinquanta centesimi. Un po’ di coerenza servirebbe in questo paese. Alcune aree del mercato del lavoro hanno salari bassi anche perché noi in alcune situazioni facciamo fatica a rinnovare i contratti – ha detto facendo come esempio il contratto della Vigilanza privata scaduto da quasi 7 anni, quello dei lavoratori e delle lavoratrici che operano nelle residenza sanitarie assistenziali, persone che hanno rischiato più volte durante la pandemia per assistere gli anziani i malati cronici che hanno un contratto che non si rinnova da quasi 11 anni per indisponibilità delle associazioni datoriali. Per noi la via resta quella della contrattazione, del protagonismo delle parti sociali, dell’assunzione di responsabilità nel qualificare le relazioni industriali. E’ l’Europa che ci considera i migliori e per una volta tanto che siamo i migliori evitiamo di inseguire esperienze o esempi peggiori. Quindi creiamo le condizioni per rafforzare, estendere, migliorare la contrattazione collettiva nella dimensione nazionale e soprattutto nella dimensione decentrata, di prossimità, perché se alziamo e recuperiamo quote di produttività possiamo redistribuirla per migliorare le retribuzioni. Ecco perché serve una fase di confronto ma che ci aiuti ad abbassare bandierine ideologiche che se non ben articolate rischiano di rivelarsi un boomerang sul mercato del lavoro italiano.

Quanto al tema pensioni “dobbiamo riprendere immediatamente il confronto in sede politica con il Governo” ha detto ricordando che “In questi ultimi mesi sono andati avanti incontri di natura tecnica, istruttoria, al Ministero del Lavoro” ma che “adesso bisogna entrare nel vivo del confronto, del negoziato. Il Governo conosce e riconosce le nostre priorità che abbiamo presentato nella piattaforma unitaria. Dobbiamo cambiare la legge Fornero ed evitare il rischio incredibile che dal 1° gennaio del 2023 l’età di pensionamento ritorni a 67 anni. Ecco perché abbiamo posto con forza quattro grandi priorità: negoziare una pensione contributiva per giovani e donne intrappolate oggi nel contributivo puro e in carriere precarie e discontinue; incentivare l’adesione alla previdenza complementare; allargare e rendere strutturale l’Ape sociale e negoziare misure di flessibilità in uscita dal mercato del lavoro per avere un sistema pensionistico equo, solidale e inclusivo” ha concluso..

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