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6° Rapporto OCSeL-CISL. Sbarra: “Occorre rilanciare il confronto sull’organizzazione del lavoro e la partecipazione dei lavoratori”

Pubblicato il 28 Lug, 2021

“Il 6° rapporto OCSeL-CISL fotografa una congiuntura inedita e, ci auguriamo, irripetibile, ma non per questo priva di significato sia rispetto al passato che nella prospettiva futura”. Così Luigi Sbarra, segretario generale della Cisl a margine della presentazione del Rapporto OCSeL CISL 2019  – 2020 dal quale emerge che la contrattazione aziendale nel 2020 cambia abito e sostiene l’uscita dalla pandemia. Restano le disparità territoriali: il 65% degli accordi nel Nord, solo il 7% al Sud. 1.544 euro il valore medio dei premi di risultato nel biennio.

“I dati OCSeL-CISL – spiega Sbarra –  mostrano come le relazioni industriali, e la contrattazione decentrata in particolare, siano motori insostituibili di coesione e sviluppo, fondamenta solide sulle quali edificare l’Italia post-covid. In un anno terribile come il 2020, ma anche in quello precedente, l’incontro negoziale e bilaterale ha dato frutti determinanti per la tenuta delle aziende, dei territori e del Paese, con soluzioni che hanno attraversato sostegno al reddito, conciliazione, flessibilità organizzativa, welfare. Una rete viva, dinamica, adattiva, vicina ai bisogni specifici delle persone e delle aziende, che va supportata ed esaltata dall’azione pubblica con strumenti che ne promuovano l’estensione, specialmente al Sud, e una battaglia senza quartiere ai contrati pirata e alle rappresentanze di comodo.

Il Governo deve sostenere il ruolo generativo della contrattazione nazionale e decentrata con specifiche leve fiscali e non entrando a gamba tesa in materie proprie del libero e autonomo incontro tra parti sociali. Vuol dire, tra l’altro, rinunciare ad antistorici salari e orari “di Stato”, restituire lo smart-working al perimetro della contrattazione, collegare i nuovi strumenti di coesione e di sostegno, dal PNRR e dal Fondo Nuove Competenze, ai fondi paritetici e bilaterali, a partire dai Fondi Interprofessionali, sui quali va eliminato l’odioso prelievo forzoso che toglie centinaia di milioni di euro l’anno ai lavoratori.

Bisogna connettere questo network a un nuovo ed efficiente sistema universale di ammortizzatori e di politiche attive, sbloccare gli investimenti in infrastrutture materiali e sociali, rilanciare la filiera della formazione e delle competenze, disegnare un patto fiscale che abbassi il costo del lavoro e aumenti salari e pensioni, rilanciando i consumi.

La Cisl lancia la sfida anche a Confindustria e alle altre rappresentanze datoriali: dopo l’importante Avviso comune del 29 giugno, che ora va fatto rispettare fino in fondo, bisogna continuare a sviluppare relazioni responsabili e partecipative, con accordi e progetti che tutelino occupazione e salari, rendano universali welfare e protezioni della persona, puntino alla formazione continua e al diritto soggettivo all’apprendimento. La rigenerazione del tessuto produttivo e sociale passa per meno legislazione lavoristica, buone flessibilità negoziate, una svolta nella democrazia economica. È il momento di mettere in priorità l’impegno per una legge quadro sulla partecipazione che sostenga il coinvolgimento dei lavoratori alla vita delle imprese. Questo è il tempo dell’unità di intenti e della coesione, il tempo dell’innovazione e del coraggio, per un nuovo modello di sviluppo partecipativo, inclusivo, sostenibile che esalti l’apporto sussidiario della contrattazione e il protagonismo competente e responsabile delle Parti sociali nel governo dei processi sociali ed economici” conclude Sbarra.

Secondo il Rapporto, nell’anno della pandemia la contrattazione aziendale non si è arrestata. Ha dovuto però prevalentemente affrontare temi diversi dal passato per garantire le tutele dei lavoratori e, con l’applicazione dei protocolli nazionali sottoscritti per fronteggiare la pandemia, la possibilità di lavorare in sicurezza. Ora, dopo aver gestito l’emergenza occorre l’impegno di tutti per garantire la ripresa, innovare le imprese, favorire la crescita, far partecipare i lavoratori all’organizzazione delle aziende, ripartire i risultati e definire nuove tutele e nuovi diritti.

SINTESI 6° RAPPORTO OCSEL-CISL

Il 6° rapporto OCSeL-CISL (Osservatorio Contrattazione di Secondo Livello) curato e presentato dalla CISL raccoglie ed analizza 2.827 accordi aziendali negoziati negli anni 2019 e 2020 (di cui 922 per il primo anno e 1.905 nel secondo) in 1.742 aziende che occupano 489.797 lavoratori per il 2020 e 679 aziende con 514.030 addetti per il 2019. Non si tratta di un campione statistico, ma dell’osservazione e analisi delle tendenze della contrattazione, delle questioni emergenti, degli elementi qualitativi degli accordi, delle tematiche da sviluppare. OCSeL-CISL è il più grande osservatorio sulla contrattazione di secondo livello esistente oggi in Italia e registra nella sua banca dati oltre 16.000 accordi, raccolti in 10 anni.

Riportiamo in sintesi gli elementi principali che emergono dall’analisi degli accordi stipulati nel 2019/2020:

➢ Le materie trattate dalla contrattazione nel 2020 sono fortemente influenzate dalla pandemia da Covid.  Ne risulta una netta cesura con quanto avvenuto nel 2019 e negli anni precedenti.

➢ La crisi economica originata dalla pandemia determina che nel 2020 oltre l’80% degli accordi debba affrontare questo problema (contro una percentuale che negli anni precedenti non superava il 30% del totale).

➢ In concreto la crisi viene affrontata con accordi di sospensione (87% degli accordi di crisi complessivamente stipulati, pari a 1.392) e il ricorso alla cassa integrazione (62% degli accordi di crisi – 992 accordi). Da tener presente che gli effetti occupazionali della crisi sono contenuti, oltre che dagli accordi, anche dalla norma governativa sul blocco dei licenziamenti.

➢ L’orario di lavoro è trattato nel 2020 nel 16% degli accordi, con un lieve calo rispetto al 2019, quasi esclusivamente in relazione alla situazione generatasi con la pandemia. Con la ripresa della funzionalità delle imprese, infatti, dopo un’iniziale blocco, si pone il problema dell’operare in sicurezza applicando misure anti-contagio. Per garantire il distanziamento sociale vengono, dunque, raggiunti accordi per la distribuzione dell’orario di lavoro: questa tipologia di accordi riguarda il 90% degli accordi complessivamente stipulati in materia di orario. A causa della crisi, tracollano, dal 2019 al 2020, gli accordi sullo straordinario (dal 24% al 3% degli accordi in materia di orario), quelli sulla flessibilità (dal 42% all’8% degli accordi in materia di orario) e quelli sul part-time (dal 21% al 2% sempre degli accordi in materia di orario).

➢ Nello stesso contesto sopra accennato gli accordi in materia di organizzazione del lavoro (con il 16% sul totale degli accordi), sono impegnati per l’88% da accordi per i turni.

➢ Sempre per garantire il distanziamento sociale, esplode nel 2020 l’utilizzo dello smart-working che, in breve tempo, coinvolge oltre 5 milioni di lavoratori. Tali numeri non sono, però, il frutto di un’impennata della contrattazione su questo tema, quanto della liberalizzazione dello strumento definita dal governo che ha permesso alle imprese di adottare tale modalità di prestazione anche senza il consenso del lavoratore. Gli accordi stipulati per smart-working nel 2020 risultano infatti essere 112 (il 37 % degli accordi relativi all’organizzazione del lavoro), contro i 111 dell’anno precedente (93% degli accordi relativi all’organizzazione del lavoro che, nel 2019 costituivano il 13% dei 922 accordi rilevati).

➢ L’eccezionalità del 2020 è riscontrabile anche nel diverso peso che hanno avuto i settori merceologici nella produzione contrattuale. Il settore metalmeccanico viene superato dal settore dei trasporti e dal settore del commercio. Poiché la crisi incide con modalità diverse sui diversi settori sono diversi fattori che determinano questa nuova classifica.

➢ Anche nel 2020 si conferma il trend crescita della contrattazione aziendale nelle piccole e piccolissime imprese, in cui già negli anni precedenti si era arrivati a stipulare circa il 30% degli accordi. La clamorosa, ulteriore, crescita della contrattazione, nel 2020, nella piccolissima azienda (sotto i 20 dipendenti) dipende, però   quasi esclusivamente dalla pandemia. Ciò nondimeno si apprezza un livello costante di accordi extra-crisi, a conferma che, anche in un anno anomalo come il 2020, la contrattazione risponde con pragmatismo alle necessità di soluzione dei problemi in tutte le aziende, anche di piccole dimensioni.

➢ Ridotta, rispetto all’anno precedente, quando aveva riguardato il 48% degli accordi, la produzione contrattuale sul tema del salario, che riguarda il 5 % degli accordi.

➢ Il valore dei premi definiti nel biennio 2019-2020 si attesta attorno ad una mensilità (1.544 euro), in linea con le cifre medie definite negli anni precedenti. Per quanto ovvio, la stragrande maggioranza degli accordi afferenti. a questo tema è sottoscritta nel 2019. Non è possibile rilevare le quantità derivanti da quote di salario fisso, intuibilmente in espansione, considerata la crescita di 9 punti delle gratifiche.

➢ La quota di salario è molto differenziata a seconda delle aziende e dei settori. Vale la pena di sottolineare che circa un terzo dei premi è inferiore a 1000 euro, il 20% si colloca da 1.000 a 1.500 euro, un ulteriore 20% da 1.500 a 2.000 euro e ben il 24% dei premi risulta superiore a 2.000 euro.

➢ Gli accordi sul welfare aziendale subiscono nel 2020 una battuta d’arresto e rappresentano il 2% delle materie contrattate, contro un 32% dell’anno precedente.  Attorno al tema si possono però intravvedere tentativi di riqualificazione per dare nuove risposte come, ad esempio, in materia di conciliazione.

➢ Anche in tema di formazione, mercato del lavoro, partecipazione, ambiente e sicurezza la contrattazione aziendale non cerca di replicare semplici adempimenti di legge ma di caratterizzarsi verso misure nuove che aumentano il grado di coinvolgimento e responsabilità delle RSU e del sindacato in azienda. La pandemia sembra avere accelerato in molte aziende l’inserimento di tecnologia digitali. Cresce infatti la domanda di formazione per nuove competenze.

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