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Mobilitazione Cgil Cisl Uil a Mestre. Sbarra: “Dalla piazza un messaggio positivo ma intransigente che invoca lavoro, sviluppo e coesione sociale”

“La nostra è una voce che parla la lingua della responsabilità, che vuole costruire, e non incendiare. Ma che vuole farlo secondo giustizia ed equità. Sapendo che è questo il momento in cui si fanno le scelte decisive, non per il prossimo anno o per la prossima legislatura. Ma per i prossimi 20 anni, per i nostri figli e nipoti”. Lo ha detto oggi a Mestre il Segretario Generale della Cisl Luigi Sbarra concludendo la manifestazione regionale in Veneto di Cgil Cisl Uil per migliorare i contenuti della legge di bilancio.

Le decisioni strategiche vanno prese ora. E da come sapremo farlo, dall’esito di questa Legge di Bilancio, si capiranno le vere intenzioni del Governo. Per questo oggi siamo in piazza. Per lanciare un messaggio positivo ma intransigente che invoca lavoro, sviluppo e coesione sociale. Non ci sono alibi sulle risorse. E non ci sono alibi neanche sulle proposte. Le nostre sono in campo, e non da oggi. Sono proposte unite da uno stesso filo conduttore. Quello che lega saldamente, specialmente in questa stagione, crescita e lotta alle disuguaglianze, inclusione sociale e ripartenza economica. Se oggi manifestiamo è per dire che questo legame, nella manovra, è ancora troppo debole. A partire dalle pensioni, dal fisco, dalla scuola, dalle protezioni sociali attive e passive.
Uno squilibrio prodotto dallo scarso dialogo che ha preceduto l’approvazione della Legge di Bilancio.

Ma i risultati importanti in questo anno e mezzo – e vorrei dire anche negli ultimi 30 anni – sono arrivati ogni volta che Istituzioni e Parti sociali hanno operato insieme, nel segno della responsabilità. Dobbiamo rafforzare i ponti della corresponsabilità su obiettivi strategici comuni. A partire dall’evoluzione del sistema pensionistico. Lo abbiamo detto con forza martedì scorso al Governo, in occasione di un incontro importante, in cui il Presidente Draghi si è impegnato ad aprire il Tavolo Pensioni e quello sul Fisco. Due conquiste fondamentali della nostra mobilitazione. Il confronto è finalmente aperto. Ma noi siamo abituati a giudicare l’albero dal frutto. E a pesare la volontà politica dalle azioni concrete che produce.

Dunque, “bene la prima”. Ma di una cosa si può star certi: non faremo passi indietro, fin quando non vedremo risultati concreti e coerenti. Di sicuro c’è che quello che è scritto nel DDL è assolutamente inaccettabile. Un ritorno mascherato alla Legge Fornero, né più né meno. Noi diciamo una cosa molto semplice: 62 anni di età o 41 anni di contributi possono bastare. Devono bastare. È così che si riunisce il Paese. Così si agevola il turnover, si stimola l’entrata nel mondo del lavoro delle nuove leve.
Così si garantisce da un lato un incremento di produttività e dall’altro una terza età serena e generativa per tutti.

Questo è il Patto che serve. È assolutamente impensabile risolvere la questione con un “pannicello caldo” come Quota 102. Bisogna riempire il dialogo di contenuti in linea con le nostre proposte. Ed estendere questo metodo anche alle altre questioni dirimenti della Manovra. A partire dal Fisco e da una politica dei redditi che deve tornare in cima all’Agenda nazionale. Serve una grande operazione di redistribuzione a sostegno del lavoro e delle pensioni. Dobbiamo controllare prezzi e tariffe, rilanciare i salari pubblici e privati. Ridurre il carico fiscale sulle fasce deboli, estendere le quattordicesime mensilità per le pensioni, sbloccare l’adeguamento di tutti gli assegni previdenziali.

Bisogna concentrare tutti gli 8 miliardi del Fondo Fiscale per abbattere il cuneo fiscale e le prime aliquote Irpef, per sostenere quei ceti medi e popolari che contribuiscono per l’85 per cento alle entrate dell’erario. E che oggi rischiano di finire nella doppia morsa del inflazione e del potere d’acquisto in picchiata. Bisogna sostenere le famiglie!
L’assegno unico va nella direzione giusta nel principio. Ma non può penalizzare proprio i nuclei più fragili. Chiediamo per questo che la clausola di salvaguardia per le realtà deboli sia confermata in modo strutturale e permanente. È una questione di equità e buonsenso, specialmente dopo i mesi che abbiamo alle spalle. Ed è anche una priorità economica per il Paese, che ha urgenza di rilanciare i consumi e la produzione di aziende che si rivolgono per la gran parte al mercato interno. Al governo chiediamo oggi di fare passi coerenti e coraggiosi verso questa impostazione. Serve un piano nazionale per la formazione e la riqualificazione delle competenze digitali, con un grande investimento nelle filiere dell’apprendimento e nelle nostre comunità educanti.

Sulla scuola bisogna subito dare segnali forti. Troppo debole l’impianto in Manovra. Troppo scarse le risorse. Bisogna sbloccare il contratto e adeguare gli stipendi. Servono stabilizzazioni e nuove assunzioni. Va garantita la sicurezza nelle classi e rilanciato il valore delle relazioni sociali, come stabilito nel Patto per l’istruzione di maggio e nell’intesa di agosto.

Ancora: ci vuole una spinta forte sulle politiche sociali e di inclusione, a partire dalla sanità e dalle politiche socio-sanitarie, dal sostegno alle disabilità, alla terza età. È determinante un forte un intervento di ricucitura sulle politiche di welfare per garantire a tutti, da Nord a Sud, livelli essenziali di prestazioni e servizi adeguati. A partire da una legge sulla non autosufficienza da implementare, integrare, consolidare subito. Allo stesso modo vanno incrementate le risorse sul pubblico impiego, per una stabilizzazione del personale precario. Specialmente, ma non solo, nella sanità.

Serve lavoro stabile. Lavoro ben qualificato. Sicuro. Ben tutelato, retribuito, contrattualizzato. Questo deve essere il nostro assillo. Perché l’Italia riparte se riparte il lavoro. Se crescita e opportunità saranno ben distribuite. Se spezzeremo le disuguaglianze cresciute in questi anni. Rimettere al centro il lavoro vuol dire sbloccare gli investimenti. E farlo insieme, a partire dalle risorse e dai progetti del PNRR. A cui si aggiungono dotazioni nazionali ed europee irripetibili. Abbiamo oltre 500 miliardi a disposizione nei prossimi 6 anni. Un Piano Marshall che deve cambiare e migliorare il volto del Paese, con una governance partecipata dei processi di decisione e controllo. Per governare le grandi transizioni ambientali, industriali, tecnologiche, demografiche su obiettivi di solidarietà. Per mettere i grandi cambiamenti della modernità nel solco della sostenibilità sociale.
Per creare nuova occupazione e far sì che a ogni euro speso in tecnologia, corrisponda un altro euro investito nel lavoro, nella sua sicurezza, in modelli partecipativi che diano sempre più voce ai lavoratori nelle scelte d’impresa. Lavoro, ammortizzatori sociali, politiche industriali, infrastrutture, fisco, servizi, scuola, pubblico impiego, innovazione…

C’è un Paese da rigenerare nel solco della coesione, della democrazia economica, del protagonismo sociale. Non ci sarà data un’altra possibilità.
Per questo la nostra azione non si fermerà.
Per questo continueremo a fare la nostra parte.
A lottare per riallacciare i fili del dialogo e per una Legge di Bilancio più giusta. Verso un campo largo, stabile di partecipazione dentro cui progettare un domani migliore per tutti”.

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