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8 marzo. Furlan: “Le donne hanno pagato anche il prezzo più alto della crisi economica di questi anni”

Pubblicato il 7 Mar, 2017


Roma, 8 marzo 2017. “Speriamo che ‪l’8 marzo‬ possa diventare anche il viatico per discutere seriamente con il Governo Gentiloni di misure fiscali e contributive per fare costare meno l’occupazione stabile, soprattutto quella delle donne, di politiche attive del lavoro, alternanza scuola- lavoro, più investimenti in innovazione, ricerca, formazione” . E’ quanto sottolinea oggi la Segretaria Generale della Cisl Annamaria Furlan in un intervento su ‘Il Messaggero’. “Le donne hanno pagato anche il prezzo più alto della crisi economica di questi anni: sono state le prime a precipitare nell’area della povertà”, aggiunge la leader della Cisl. “Ecco perché il lavoro resta il primo diritto di cittadinanza e di emancipazione che bisogna ancora conquistare. Basta vedere i dati relativi alla disoccupazione femminile in Italia secondo cui le donne, soprattutto nelle regioni meridionali, sono escluse da ogni possibilità di riscatto e di partecipazione alla vita economica del paese”, rileva Furlan. “Anche sul piano delle retribuzioni, le donne guadagnano quasi il 10% in meno rispetto agli uomini (in Europa la media è del 17%). Uno dei motivi è che le donne hanno più difficoltà a conciliare impegni di lavoro e familiari. Di conseguenza, sono loro, soprattutto, a scegliere il lavoro a tempo parziale ed ad interrompere continuamente la propria carriera, con conseguenze dirette sui salari e sulle future pensioni. La parità di retribuzione sarebbe un grande stimolo ai consumi ed all’economia europea e solleverebbe milioni di donne dalla povertà. Questa è la battaglia che stiamo portando avanti insieme alla Ces, il sindacato europeo”. Secondo la Segretaria della Cisl anche la maternità viene vista ancora come un ostacolo all’ingresso ed alla progressione di carriera. “Non è un caso se in fatto di natalità il nostro paese è tra gli ultimi posti in Europa come hanno confermato i nuovi dati dell’Istat. Una donna su 3 lascia il lavoro dopo la nascita del primo figlio. Rispetto al resto dell’ Europa in Italia sono ancora poche le madri con un bambino che lavorano (57,8 % contro 63,4 %) e, soprattutto, se paragonate agli uomini (86%). Quando poi i bambini crescono i numeri crollano al 35,5 % (la media Ue è del 45,6 % ). In molti casi la rinuncia alla maternità va collegata direttamente anche all’inadeguatezza di servizi a sostegno della genitorialità. In Italia solo il 18% dei bambini trova posto negli asili nido pubblici, mancano politiche finalizzate alla conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro, allo smart working, alla flessibilità negli orari. Non è solo un problema di leggi da far rispettare. Dobbiamo fare di più con la contrattazione nazionale, aziendale e nei territori, ponendo le condizioni per una valorizzazione ed una specificità del lavoro femminile”.

In occasione delle celebrazioni per la Giornata Internazionale delle Donne dell’8 marzo la Cisl ha scelto, insieme a Cgil e Uil, di aderire alle iniziative promosse dalla Confederazione Europea dei Sindacati (CES) dedicate quest’anno al tema della disparità salariale tra uomini e donne. “Non abbiamo ritenuto di indire scioperi dimostrativi che avrebbero creato solo divisioni nel mondo del lavoro e disagi ai cittadini, snaturando il significato di questa ricorrenza”, sottolinea la Segretaria Confederale Organizzativa della Cisl, Giovanna Ventura. “Faremo tante iniziative nei territori e con le nostre categorie con lo slogan “Le donne sono il cuore dell’economia europea”, nell’intento di richiamare ancora una volta l’attenzione di tutte le istituzioni sui problemi occupazionali delle donne, sul diritto ad una piena ed effettiva parità in ambito sociale, sul contrasto duro e determinato alla violenza di genere, sulla lotta ad ogni forma di discriminazione. “In media in Europa le donne guadagnano il 17% in meno rispetto agli uomini. Uno dei motivi è che le donne – sottolinea Ventura – hanno più difficoltà a conciliare impegni di lavoro e familiari. Di conseguenza, sono loro soprattutto a scegliere il lavoro a tempo parziale ed ad interrompere continuamente la propria carriera, con conseguenze dirette e deleterie sui salari. Il gender pay gap rimane, dunque, un tema cruciale per il sindacato nella lotta contro le discriminazioni legate al genere, tenuto conto del fatto che una sua sostanziale riduzione, oltre a rilanciare i consumi e l’economia, eliminerebbe un’altra disparità, direttamente collegata alla prima, il gap pensionistico che vede nel nostro Paese le donne percepire un assegno di pensione inferiore di circa il 30% rispetto agli uomini”.

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