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Rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale. Petteni, Cisl: “E’ dannoso un welfare contrattuale fatto per tagliare i costi. Serve un welfare disegnato sui bisogni di chi lavora”

Pubblicato il 24 Gen, 2018
FamigliaRoma, 24 gennaio 2018. “Finalmente uno sguardo acuto e anche critico su una esperienza, quella del welfare contrattuale, che si sta diffondendo in modo importante e positivo ma che non va lasciata a se stessa e va guidata”. Commenta così il Segretario confederale della Cisl, Gigi Petteni, in occasione della presentazione del primo Rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale: “Una ricerca che denuncia una scarsa informazione dei lavoratori sui contenuti e caratteristiche del welfare a disposizione. Occorre che si realizzino coinvolgimento e scelte consapevoli, che venga più curata analisi dei bisogni e capacità di coinvolgimento e personalizzazione dei lavoratori”. 
 
“Siamo tra quelli più contenti nel vedere diffondersi il welfare, ma ci sentiamo al tempo stesso più responsabili. – aggiunge Petteni – Pochi giorni fa il ministero ha aggiornato i dati sui contratti di produttività detassati che prevedono la traduzione in welfare. Oggi degli 8,363 accordi attivi in gennaio il 41,2% prevede la possibilità di tradurre in welfare i premi. Eravamo al solo 20% 1 anno e mezzo fa. Una crescita importante ma il welfare contrattuale non avrà futuro se sarà creato per tagliare costi, per abbassare il costo del lavoro o per dare genericamente soluzioni “usa e getta” ai bisogni delle persone che lavorano”. 
 
“In un paese fatto di poche Luxottica e di tante Pmi serve regia, soprattutto da parte delle parti sociali, e confronto costruttivo. – afferma Petteni – Non basta dire che il lavoratore può scegliere quello che vuole dentro un paniere di servizi infinito. Il welfare deve essere contrattuale (non unilaterale), responsabile ma soprattutto integrativo di un sistema pubblico che non va fatto retrocedere ma più di così non può dare. Il welfare che vogliamo deve essere inclusivo. Non possiamo pensarlo per i soli lavoratori a tempo indeterminato quando oggi mediamente il 15% della forza lavoro, e in alcuni settori il 30% o il 60% sono a tempo determinato o con altre tipologie contrattuali. Welfare e discontinuità lavorativa devono poter marciare insieme”. 
 
 

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