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Salari minimi: la sentenza che conferma la validità della direttiva europea

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha pronunciato l’11 novembre 2025 una sentenza di fondamentale importanza sulla Direttiva europea 2022/2041 relativa ai salari minimi adeguati, respingendo sostanzialmente il ricorso per il suo annullamento presentato dalla Danimarca (sostenuta dalla Svezia).
La Corte ha confermato la piena validità della Direttiva e delle sue disposizioni fondamentali, garantendo che l’azione europea per salari adeguati prosegua su solide basi giuridiche.
La sentenza conferma tutte le misure relative alla promozione della contrattazione collettiva, incluso l’obbligo per gli Stati membri con copertura contrattuale inferiore all’80% di presentare piani d’azione per aumentare progressivamente tale copertura.
Sebbene la Corte abbia annullato l’articolo 5(2), contenente i criteri dettagliati per valutare l’adeguatezza dei salari minimi legali (quali il costo della vita e la produttività) ha confermato le altre disposizioni incluse le soglie del 60% del salario mediano e del 50% del salario medio come parametri di riferimento puramente indicativi.
La Corte, secondo prime valutazioni, ha voluto salvaguardare l’autonomia delle parti sociali e la competenza nazionale in materia di determinazione salariale, evitando interferenze dirette dell’UE sugli stati membri.
La sentenza non assume particolare rilevanza per il nostro Paese in quanto:

  • La contrattazione collettiva copre tradizionalmente una percentuale elevata di lavoratori ben superiore all’80%;
  • La Direttiva non impone l’adozione di un salario minimo legale anzi sostiene la contrattazione collettiva come strumento primario per salari adeguati;
  • Il sistema di relazioni industriali si fonda sull’autonomia contrattuale;
  • La tutela retributiva (e normativa) è garantita dai contratti collettivi nazionali settoriali

La Confederazione Europea dei Sindacati valuta positivamente la sentenza, riconoscendo che il nucleo della Direttiva rimane solido e l’annullamento dell’articolo sui criteri di misurazione evidenzia, secondo la CES, l’esigenza di strumenti ancora più efficaci per garantire l’equa retribuzione. Va inoltre ricordato che la maggior parte degli Stati membri resta vincolata dalla Convenzione OIL n. 131, che prevede criteri simili a quelli annullati dalla Corte. Per questo la CES sollecita la Commissione europea ad adottare una raccomandazione che fornisca orientamenti aggiuntivi per supportare concretamente l’attuazione della Direttiva.
Questa sentenza rafforza la posizione che la CISL ha sempre sostenuto valorizzando anche a livello europeo il ruolo centrale che la contrattazione collettiva ha sempre avuto nel sistema italiano di tutele salariali. Sarà fondamentale lavorare per estendere ulteriormente la copertura contrattuale e rafforzare la contrattazione di qualità e il riconoscimento dei soggetti comparativamente più rappresentativi, contrastando fenomeni di dumping salariale e lavoro irregolare che minano la dignità del lavoro.
Un impegno cruciale riguarderà l’attuazione degli articoli 10 e 11 della Direttiva, dedicati rispettivamente al monitoraggio e raccolta dati e alle informazioni sulla tutela garantita dal salario minimo, per la quale il CNEL si candida come soggetto istituzionale di riferimento. L’articolo 10 prevede che gli Stati membri istituiscano strumenti efficaci per raccogliere dati sul tasso di copertura della contrattazione collettiva, sui livelli retributivi e sulle retribuzioni più basse previste dai contratti collettivi, disaggregati per genere, età, disabilità, dimensioni d’impresa e settore. L’articolo 11 impone che tutte queste informazioni siano rese accessibili al pubblico in modo completo e facilmente fruibile, anche per le persone con disabilità.
La trasparenza e la conoscibilità dei dati retributivi rappresentano strumenti essenziali per verificare l’effettiva adeguatezza dei salari, contrastare le discriminazioni salariali – in particolare il divario retributivo di genere – e rafforzare il ruolo della contrattazione collettiva attraverso dati certi e verificabili, creando banche dati accessibili e sistemi di monitoraggio affidabili che possano orientare le politiche salariali e l’azione contrattuale.
La sentenza della Corte di Giustizia rappresenta una conferma importante per il ruolo della contrattazione collettiva che esce rafforzata da questo pronunciamento come strumento primario e insostituibile di tutela dei lavoratori, in piena coerenza con il modello di relazioni industriali che la CISL ha sempre promosso.