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Reggio Emilia. Scuola: Proposta Smartphone in classe

Pubblicato il 15 Set, 2017

Reggio Emilia, 15 settembre 2017. Mariarita Bortolani, 49 anni, è insegnante di sostegno e interviene, con una intervista, sulla proposta di autorizzare i cellulari in classe. “E’ bene ricordare che, oggi, nella consuetudine l’utilizzo dei cellulari a scuola è stato bandito anche da normative specifiche. L’ultima, in ordine di tempo è la nota sullo svolgimento degli Esami di Stato.. Per chi sgarra è prevista l’esclusione da tutte le prove d’esame. Ma anche da vari regolamenti di istituto. Riforme continue e a volte contraddittorie – cellulari vietati, cellulari permessi – destabilizzano: sa quanto lavoro per redigere i regolamenti vari che potrebbero essere superati?” Capita che gli studenti utilizzino il cellulare nonostante gli attuali divieti? “Sì. Molti studenti dichiarano di utilizzare il cellulare – senza farsi ‘sgamare’ per usare una loro espressione – per noia, per essere connessi, per passare o chiedere suggerimenti durante compiti e verifiche, per gli amici – casomai dell’aula accanto – praticamente nessuno per controllare la correttezza di una parola!”. Quali i rischi di un utilizzo per i più giovani? “E’ noto che anche i più giovani (scuola primaria/media) posseggano un cellulare, a volte molto potente, che può anche essere incredibilmente pericoloso. Si pensi alle foto rubate, alle foto che girano, ad affermazioni pesanti. La recente legge (71/2017) sul cyberbullismo impegna ‘ogni istituto scolastico, nell’ambito della propria autonomia, ad individuare fra i docenti un referente con il compito di coordinare le iniziative di prevenzione e di contrasto del cyberbullismo’. Ripetiamo sempre, ai nostri studenti, che di tutto quello che va in rete, rimane traccia e tracciabilità, nonostante le operazioni ‘elimina, svuota cestino’”. Eppure l’attuale titolare del dicastero dell’Istruzione, Valeria Fedeli ha mosso il primo passo ufficiale per fare entrare gli smartphone nelle aule scolastiche. Ha incaricato una commissione parlamentare di stilare le linee guida per promuovere i cellulari di ultima generazione a strumenti didattici… “In realtà – risponde la Bortolani che all’istituto Motti è referente il sostegno, dove si accolgono numerosi alunni (150) portatori di disabilità e si presta particolare attenzione ai bisogni educativi speciali (Bes) – penso piuttosto a tutte quelle mamme di alunni con disabilità, per le quali gli smartphone costituiscono uno strumento di maggiore autonomia: ad esempio certe applicazioni consentono l’orientamento, i messaggi audio permettono, a chi è impossibilitato a scrivere, la comunicazione, e così via. E, allora, come in tutte le cose, ci vogliono equilibrio e buon senso. Se un alunno è infortunato e non può prendere appunti, la foto degli schemi alla lavagna sarebbe utile; per uno studente con disturbi specifici di apprendimento l’utilizzo di programmi adeguati può essere importante”. Ci stiamo modernizzando anche a scuola? “Le nuove tecnologie non ci devono mai far dimenticare che siamo persone e che le persone parlano, si confrontano, discutono e crescono. Non può passare l’idea che le relazioni si costruiscono attraverso whatsapp. Certo se si pensa al registro elettronico, segnare i compiti è un’ottima soluzione… gli studenti non possono più dire ‘io non c’ero’, ‘non sapevo che queste pagine erano da studiare per oggi’. A volte racconto che quando andavo a scuola si utilizzava il telefono fisso, per accordarci per vedersi, per studiare insieme, per ridere: mi ascoltano, come avessi fatto le scuole nel Medioevo o venissi da Marte”. Se si dovesse andare verso la “liberalizzazione” cosa accadrà? “Temo diversi svantaggi: sia nel comportamento, sia negli apprendimenti. Già vediamo un significativo calo di concentrazione, memorizzazione e dobbiamo inventarci sempre nuove modalità e strategie educativo-didattiche. Inoltre, sembra sempre che tutto sia un problema – solo – della scuola. In realtà anche questa emergenza educativa, richiede alleanze con le famiglie, condivisione. Come ha affermato la segretaria Nazionale Cisl scuola Gissi, si tratta di ‘Un problema educativo al quale la scuola non può ovviamente sottrarsi ma nel quale, non può essere lasciata sola’” Qualche giornale ha coniato il termine: “dementi digitali” se ciò avvenisse…. “L’ espressione – non si usano mai termini dispregiativi quando ci si riferisce a giovani, e bambini – non la condivido. Non mi ha mai neppure convinta la definizione ‘nativi digitali’ : sono da auspicare abilità nell’utilizzo di apparecchi tecnologici e non riuscire ad allacciarsi le scarpe, essere impacciati a livello motorio o avere gravi carenze nella motricità fine? Non sapere inviare una raccomandata o fare una fotocopia?”

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