Welfare Day 2015

Pubblicato il 13 Ott, 2015

Sono ormai diversi anni che si dibatte sul tema dei Fondi sanitari integrativi. Nonostante ciò, la sanità integrativa, continua ad essere un “tabù” per molti e non si riesce ad avviare un percorso di reale fattibilità, all’interno del quadro normativo predisposto.

Situazione esistente

Di fatto, durante questi decenni, i principali fondi sanitari istituiti, sono i «fondi contrattuali» e si sono sviluppati nell’ambito della contrattazione collettiva nazionale o decentrata (aziendale o locale), oppure nell’autogestione di ordini o collegi professionali. Si tratta però di fondi che si rivolgono a popolazioni «chiuse», che condividono l’adesione a un contratto collettivo di lavoro o l’iscrizione a un ordine o collegio.
Ci sono poi i «fondi di fondi», che non si rivolgono a individui ma alle imprese perché iscrivano in gruppo i loro dipendenti o collaboratori.
In questo caso i fondi sono aperti nel senso che non si rivolgono ad una popolazione pre-definita di potenziali iscritti o assistiti, ma allo stesso tempo sono chiusi poiché non consentono l’iscrizione di individui che non siano legati – in prima persona o per via dei propri familiari – a un particolare datore di lavoro.
Altra tipologia di fondi sono le «società di mutuo soccorso». In genere si tratta di fondi aperti poiché si rivolgono a chiunque – singoli o gruppi familiari, a seconda dei regolamenti – voglia iscriversi. All’interno di questa categoria, sono poi da differenziare le SMS che operano esclusivamente nell’ambito dell’integrazione sanitaria, da quelle che invece sono presenti in più ambiti sociali e assistenziali (che quindi potrebbero avere competenze limitate in campo sanitario).
Queste sono le principali tipologie di assistenza sanitaria integrativa organizzata in forma collettiva.

Classificazione internazionale dei fondi

I servizi e le prestazioni che i diversi fondi forniscono sono di natura assai eterogenea e si posizionano in modo diverso rispetto ai Lea garantiti dal Ssn.
In questo contesto è opportuno richiamare la classificazione, in 4 categorie, proposta dalla letteratura internazionale in merito al rapporto tra sistema sanitario pubblico e schemi volontari di assicurazione sanitaria privata:

sostitutivo: l’assicurazione privata rappresenta una possibilità concessa in alternativa al sistema pubblico;
complementare: l’assicurazione privata rimborsa i copayment richiesti dal sistema
pubblico (franchigie, ticket, ecc.);
supplementare: l’assicurazione privata copre le prestazioni non garantite dal sistema sanitario pubblico;
duplicativo: l’assicurazione privata copre prestazioni già garantite dal sistema pubblico, ma ne rende più facile o libera la fruizione, evitando le liste di attesa o permettendo una scelta più ampia di professionisti e strutture.

Rispetto a questa classificazione gran parte dei fondi integrativi vigenti, svolgono contemporaneamente i ruoli complementare, supplementare e duplicativo, con eventuali accentuazioni dell’uno o dell’altro (i fondi che beneficiano di contributi più elevati possono offrire molte prestazioni duplicative o supplementari; quelli che hanno contributi più bassi si concentrano su una funzione complementare).
Difatti, i Fondi non sono propriamente conformi alla disciplina vigente in materia di sanità integrativa, che stabilisce, nel dettaglio, gli ambiti di intervento dei Fondi:

• copertura dei ticket;
• prestazioni escluse dai LEA, ma erogate da professionisti e strutture accreditate (si specifica la medicina non convenzionale, le cure termali e l’assistenza odontoiatrica);
• prestazioni incluse nei LEA, ma fornite nell’ambito dell’attività intramoenia;
• assistenza socio-sanitaria in regime sia residenziale e semiresidenziale che domiciliare.

Inoltre la Legge di riorganizzazione dell’assistenza e dei servizi sociali (328/2000) apre un ulteriore fronte di intervento, estendendo l’operatività dei fondi sanitari integrativi del Ssn alle spese sostenute dall’assistito per le prestazioni sociali erogate nell’ambito dei programmi assistenziali intensivi e prolungati a domicilio o in strutture residenziali o semiresidenziali per persone anziane e disabili.

Servizio sanitario nazionale e spesa sanitaria privata

La crisi economica che il nostro Paese sta attraversando, ha messo a dura prova la sanità, costretta a subire ingenti riduzioni di finanziamento, anche a fronte di una spesa sostanzialmente sotto controllo e, tendenzialmente, in diminuzione. Il dato peggiore è che i tagli non sono stati operati all’interno di un intervento riorganizzativo e, quindi, mirati a situazioni di inefficienza e di sprechi, ma si è deciso di applicare tagli lineari, creando così situazioni di crisi anche ai bilanci di quelle Regioni cosiddette “virtuose”.

Gli stessi Piani di rientro, sottoscritti dalle Regioni con bilanci in disequilibrio, avevano un duplice obiettivo: da una parte mettere in campo strumenti mirati al superamento degli sprechi e delle inappropriatezze; dall’altra garantire i Livelli essenziali di assistenza e renderli realmente esigibili. Di fatto si sono rivelati un’ operazione puramente economica. I principali interventi messi in campo hanno riguardato l’inasprimento della leva fiscale, l’introduzione di ulteriori ticket e la riduzione del personale. Poco o nulla è stato fatto sul versante della garanzia delle prestazioni ai cittadini.

Ciò è confermato anche dai dati del Rapporto dell’Istat (maggio 2015) dove si evidenzia che circa il 9,5% della popolazione non ha potuto fruire di prestazioni che dovrebbero essere garantite dal Ssn per motivi economici o per carenze delle strutture di offerta.
Ciò è da attribuire, principalmente, sia alle lunghe liste di attesa, sia ai gravosi ticket da pagare per fruire delle prestazioni e dei servizi. Perché il tema non è solo quanti e quali prestazioni inserire nei Lea, ma anche rendere effettivamente esigibili le prestazioni e i servizi. E purtroppo questo diritto è garantito solo in parte e con modalità differenziate tra le Regioni.

Sul versante della spesa, la situazione è tutt’altro che incoraggiante.
La spesa sanitaria totale corrente ammonta, in Italia, nel 2013, a circa 140 miliardi di euro, di cui 27,6 miliardi circa (oltre il 20% della spesa totale) è spesa privata e, quindi, a totale carico dei cittadini.
La maggior parte della spesa sanitaria privata è di tipo out-of-pocket, cioè non intermediata da fondi o assicurazioni.

Le principali voci di spesa privata sono: 12 miliardi per l’acquisto di medicinali (generici, fascia C, preparati galenici, ticket); 5 miliardi per l’odontoiatria e 4 miliardi circa per visite mediche specialistiche. Una fetta di spesa minore è assorbita da diagnostica, occhiali, protesi, ecc.
Le assicurazioni private direttamente pagate dalle famiglie superano di poco il miliardo ( si tratta delle assicurazioni individuali o familiare e non delle altre forme di assistenza collettiva che, spesso, sono a carico del datore di lavoro).

L’opportunità dei Fondi integrativi sanitari

A differenza di coloro che demonizzano la sanità integrativa e/o sostengono che può rappresentare uno strumento di smantellamento del sistema pubblico, noi riteniamo che i Fondi Sanitari Integrativi, possano rappresentare una reale opportunità per tutti i cittadini e per lo stesso Ssn. Pertanto, i Fondi, vanno osservati non in una logica di contrapposizione e/o in alternativa al Sistema pubblico, ma in una logica di complementarietà e, quindi, di una maggiore opportunità.

Siamo convinti sostenitori del Ssn, Universale e Solidale. In questo senso vanno messi in campo, sul territorio, strumenti adeguati per una “vera” riorganizzazione delle strutture e dei servizi, in modo da garantire ai cittadini, su tutto il territorio nazionale, le prestazioni dei Lea.

Ciò ribadito, riteniamo sia giunto il momento di aprire una vera discussione sui fondi integrativi.
Come ante descritto, in questi anni, si sono implementati soprattutto i fondi sanitari integrativi di derivazione contrattuale, aprendo una partita economica di notevoli dimensioni e di tutto interesse, ma certamente con alcuni limiti.
E neanche possiamo ritenerci soddisfatti per la disciplina che obbliga i fondi a destinare una quota non inferiore al 20% alle prestazioni socio-sanitarie non comprese nei Lea, al rimborso dei ticket ed alle prestazioni odontoiatriche non erogate dal Ssn.

Siamo convinti che la questione dei fondi integrativi sanitari vada sviluppata in un progetto più ampio. Un progetto mirato alla tutela del diritto alla salute, inteso non solo come cura, ma come un percorso che accompagni il cittadino dalla prevenzione, cura, fino alla riabilitazione completa.
Tutto ciò non può stare in carico solo al Ssn. E i dati lo dimostrano.
Lo stesso vale per i Fondi sanitari di derivazione contrattuale, che certamente costituiscono un’area di intervento da presidiare e da ampliare, ma, in quanto fondi “chiusi”, lasciano fuori milioni di cittadini (inattivi, atipici, disoccupati, partite iva ecc.)

Noi pensiamo che le ingenti risorse di spesa privata (certamente sottostimata, in quanto non tutti rilasciano fattura), oggi in balia del mercato, possano essere organizzate per costituire i Fondi cosiddetti “aperti”, a cui tutti possono accedere.
Una forma di mutua sanitaria integrativa territoriale può rappresentare una tipologia di fondo collettivo di comunità, con il coinvolgimento dei cittadini e delle istituzioni locali.

La questione più complessa che necessita di essere approfondita riguarda quale modalità di fondi ai fini della copertura della non autosufficienza. I Fondi a cui noi pensiamo devono comprendere le prestazioni ed i servizi per la non autosufficienza. Di fatti, però, questa tipologia di fondi dovrebbero, da una parte, prevedere prestazioni e servizi per la fase acuta; dall’altra prevedere modalità che rispondano a una logica di capitalizzazione.
In questa direzione si potrebbero sviluppare formule che integrino copertura sanitaria e copertura previdenziale. Ciò richiederebbe una nuova disciplina di regolamentazione ad oggi inesistente.

 

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