Nella giornata del 6 agosto è stato approvato in via definitiva dal Parlamento il Decreto-legge 30 giugno 2025 n.95 (c.d. “Decreto Economia), convertito in legge 8 agosto 2025, n. 118 (G.U. 09/08/2025, n. 184). Si tratta di un testo “omnibus”, che contiene misure relative a numerosi ambiti. Per quanto riguarda le tematiche del dipartimento, segnaliamo e commentiamo di seguito alcune norme di rilievo.
Integrazione al reddito per le lavoratrici madri con due o più figli – Art.6
Come ricorderete, la legge di bilancio 2024 (commi 180-185) aveva introdotto in via sperimentale una decontribuzione per le madri lavoratrici dipendenti a tempo indeterminato (per le madri di 2 figli per il solo 2024; per le madri di 3 o più figli per il triennio 2024-26). La legge di bilancio 2025 (commi 219 e 220) ha reso strutturali le misure, con alcune modifiche, ampliandole alle lavoratrici a tempo determinato e alle autonome (per le madri di 2 figli dal 2025, per le madri di 3 o più figli dal 2027, restando in vigore per queste ultime la norma della legge di bilancio 2024).
Ora questo nuovo decreto sposta al 2026 la validità di quanto previsto dalla legge di bilancio 2025 per le lavoratrici madri di 2 figli, ed introduce per il solo 2025, una nuova misura, finanziata con un ulteriore stanziamento di 180 milioni di euro (che si aggiungono ai 300 milioni già previsti dalla legge di bilancio 2025) portando il totale delle risorse a 480 milioni, così strutturata:
– le destinatarie sono le lavoratrici madri dipendenti, anche a tempo determinato, con esclusione dei rapporti di lavoro domestico, e autonome (comprese le iscritte alla gestione separata) con due figli, titolari di reddito da lavoro non superiore a 40.000 euro su base annua;
– per l’anno 2025 il beneficio non è in forma di decontribuzione ma consiste in un importo, non imponibile ai fini fiscali e contributivi, pari a 40 euro mensili, per ogni mese o frazione di mese di vigenza del rapporto di lavoro o dell’attività di lavoro autonomo, importo corrisposto a dicembre, in unica soluzione, che non rileva ai fini Isee;
– il beneficio è riconosciuto dall’Inps, a domanda, fino al mese del compimento del decimo anno da parte del secondo figlio;
– la medesima somma è riconosciuta anche alle madri lavoratrici dipendenti e autonome come sopra individuate, con 3 o più figli, fino al mese di compimento del diciottesimo anno del figlio più piccolo, a condizione che il reddito da lavoro non consegua da attività di lavoro dipendente a tempo indeterminato (questo perché per il 2025 le madri con 3 o più figli che lavorano con un rapporto a tempo indeterminato hanno già diritto alla decontribuzione prevista dalla legge di bilancio 2024).
Positivo, anche se per il solo anno in corso, il potenziamento della misura, che comunque è divenuta strutturale con l’ultima legge di bilancio. Essa punta ad affrontare il serio problema delle lavoratrici che lasciano il lavoro a causa della maternità.
Insisteremo con Governo e Parlamento che il beneficio sia considerato automatico, senza che sia necessaria la richiesta, poiché nel 2024 la mancata conoscenza della norma ha fatto sì che molte lavoratrici, pur avendone diritto, non lo richiedessero, fenomeno che si accentua in presenza delle successive modifiche della misura che potrebbero aver creato confusione.
Continuiamo a ritenere che, perché la misura abbia un impatto significativo, andrebbe allargata alle donne con un solo figlio, tanto più nella formula adottata che la prevede per i soli redditi non superiori a 40.000 euro. Considerando i costi necessari per tale opzione, andrebbe quantomeno potenziato il beneficio per le donne con almeno due figli.
Contratti a tempo determinato – Articolo 14, comma 6-bis
Viene ulteriormente prorogata dal 31.12.25 al 31.12.26 la validità della norma, inserita come transitoria nel Decreto-legge 4 maggio 2023 n. 48, che concede la possibilità di individuare con accordo individuale, in alternativa all’accordo collettivo, le causali per stipulare contratti a termine e in somministrazione di durata superiore a 12 mesi.
Questa ulteriore proroga porta l’estensione temporale della norma a tre anni e mezzo, una durata non più giustificabile come “transitoria”. Soprattutto questa decisione è contraddittoria rispetto alla giusta scelta operata dal governo, nell’ambito dello stesso Decreto-legge 4.5.23, di affidare la gestione delle causali alla contrattazione collettiva dei sindacati comparativamente più rappresentativi, contrattazione collettiva che rischia, però, di essere scavalcata dalla contrattazione individuale. Inoltre questa ulteriore proroga appare particolarmente inopportuna in una fase, come la attuale, in cui le aziende faticano a trovare il personale, rischiando peraltro di fornire argomenti alla diffusa retorica sulla precarietà.