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Direttiva europea sui salari minimi adeguati.

Pubblicato il 10 Giu, 2022

La fase finale della discussione a livello europeo sulla Proposta di Direttiva sui salari adeguati avviata nell’autunno del 2020, e l’accordo provvisorio raggiunto dalla Presidenza francese, hanno aperto un dibattito politico tutto nazionale molto amplificato dai mezzi di informazione, troppo spesso strumentale e funzionale ai posizionamenti politici elettorali più che alla soluzione dei veri problemi che interessano il lavoro, nonché foriero di cattiva o imprecisa informazione, rispetto al quale riteniamo opportuno fare chiarezza.

Confondere il contesto e le dinamiche europee che stanno portando ad una Direttiva con la situazione economica e sociale italiana o utilizzare strumentalmente la proposta di Direttiva, forzandone i tempi di attuazione, come se fosse già in vigore, e distorcendone i contenuti al fine di giustificare la volontà di introdurre nel nostro contesto normativo una legge sul salario minimo, al di là dei danni che potrebbe provocare al nostro sistema contrattuale, è un comportamento che rivela la necessità dei sostenitori di questa normativa di legittimare la propria azione, molto discutibile sul piano tecnico e politico, attraverso l’alibi, in realtà inconsistente, dell’imposizione europea.
Nella riunione svoltasi ieri negli organismi CES, sullo stato dell’arte relativo al percorso di approvazione della Direttiva, è stato chiarito che:

  • È stata raggiunta un’intesa all’interno del cosiddetto trilogo, Commissione, Consiglio, Parlamento, fortemente voluto dallo stesso Macron che si era speso sia sul fronte europeo che su quello interno per il raggiungimento di un risultato concreto in materia di salari adeguati durante l’attuale semestre di presidenza francese.
  • Non c’è ancora un testo definitivo della Direttiva da valutare nei dettagli ma solo alcune indicazioni informali sull’accordo raggiunto. Esistono ovviamente le bozze sulle quali abbiamo lavorato da mesi e che sono alla base dell’accordo trovato nel trilogo.
  • Il testo definitivo, dunque, dopo un’ulteriore ricognizione tecnico-giuridica, dovrà essere sottoposto al vaglio del parere degli Stati membri e a quello del Consiglio europeo per gli affari sociali, infine dovrà essere votato nel Parlamento europeo e successivamente approvato dal Consiglio. È attendibile stimare che il percorso si completerà, salvo ritardi, tra settembre e ottobre. Ovviamente, durante questo periodo vi sarà ancora la possibilità che il testo possa subire modifiche, cosa che dovrà richiamare la CES ed i sindacati confederati a mantenere alta l’attenzione sullo sviluppo dell’iter.
  • La fretta improvvisamente calata tra i nostri legislatori di dare attuazione ad una Direttiva che ancora non c’è appare assai sospetta, soprattutto se i contenuti che si vorrebbero dare “all’attuazione” non hanno nulla a che fare con il testo sin qui conosciuto della stessa.
    Infatti, come già abbiamo avuto modo di rappresentare durante i lavori di commissione al Congresso CISL e tenuto conto dei chiarimenti pervenuti dalla CES, il testo su cui si sarebbe verificata una generale convergenza si caratterizza per i seguenti elementi salienti:
  • Non si impongono, in nessun caso, interventi legislativi per l’introduzione di un salario minimo legale.
  • La contrattazione collettiva viene considerata la pratica più utile al progresso dei diritti, delle tutele e del benessere in ambito lavorativo. In tal senso essa viene considerata il migliore strumento per la regolazione dei salari in tutti gli Stati membri, anche in quelli in cui sono già presenti salari minimi legali, riconoscendole la più elevata attitudine all’individuazione di salari minimi adeguati. Secondo la Direttiva, quindi, l’adeguatezza dei salari è meglio determinata quando a farlo è la contrattazione.
  • Nell’ottica di ampliare e rafforzare la contrattazione si dispone che tutti gli Stati, in cui il tasso di copertura della contrattazione sia inferiore all’80% dei lavoratori, adottino misure per la promozione e il sostegno della contrattazione stessa, attraverso l’attuazione di un “Piano di azione” per il raggiungimento dell’obiettivo percentuale indicato. Al disopra di tale soglia di copertura contrattuale, ossia nella situazione in cui, tra altri, si trova anche l’Italia, il testo non esorta alcun intervento, riconoscendo il buon funzionamento dei sistemi.
  • Si chiarisce che la contrattazione viene svolta dalle “organizzazioni sindacali” e non come nella fase iniziale della discussione genericamente dalle “organizzazioni dei lavoratori”.
  • Si indicano anche alcuni riferimenti per la determinazione della adeguatezza dei salari minimi legali. I parametri quindi valgono solo per i Paesi che adottano leggi per la fissazione dei salari minimi. Perché sia garantita l’adeguatezza nella fissazione dei minimi per legge devono essere considerati quattro criteri: potere di acquisto, costo della vita, livello di crescita generale dei salari, produttività.
  • Solo nel caso e nei paesi in cui il salario viene indicato dalla legge ed in termini puramente indicativi, si prevedono soglie per il salario minimo orario legale lordo del 60% del salario mediano lordo e il 50% del salario medio lordo nazionali. La fissazione e revisione dei salari legali deve coinvolgere le organizzazioni sindacali.
  • Per ciò che riguarda gli appalti pubblici, per gli operatori economici e anche per i subappaltatori si richiama il rispetto della legislazione nazionale e dei contratti collettivi settoriali.

Quindi la Direttiva salvaguarda i sistemi contrattuali ben funzionanti come quello italiano e non dispone ricadute dirette sul nostro Paese, di nessun tipo. Peraltro in Italia la giurisprudenza ha oramai consolidato l’orientamento ad acquisire i contratti nazionali di lavoro siglati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative quali riferimenti per individuare il trattamento retributivo e, per alcuni aspetti, anche normativo del lavoratore in caso di contenzioso.

Ribadiamo la nostra condivisione dell’impostazione fin qui seguita, grazie anche al contributo del sindacato europeo, seppur in attesa di maggiori chiarimenti e certezze sul testo che, se confermato, potrebbe essere di grande stimolo ad un cambiamento sociale dell’Europa. Il progressivo riconoscimento per tutti i lavoratori europei di salari adeguati e dignitosi e il diffuso rafforzamento della buona contrattazione collettiva in tutti gli Stati membri, come caparbiamente sostenuto dalla CISL, sarebbero passi determinanti per l’eliminazione del dumping salariale e la concorrenza sleale tra paesi dell’Unione.

Stante quanto sopra, l’improvvisa frenesia a cui assistiamo in questi giorni tra dichiarazioni di attori politici e sindacali e iperattività della stampa intorno al tema del salario minimo, sicuramente non può essere attribuita ad input provenienti dalla Direttiva europea sui salari adeguati. Non solo perché essa non è ancora varata, ma, soprattutto, perché da essa non è previsto che venga alcuna sollecitazione nei confronti dell’Italia.
L’unica connessione che ci pare ragionevole ipotizzare tra questa improvvisa smania di legiferare urgentemente sul tema di salari minimi e, magari, della rappresentanza e la prossima emanazione della Direttiva è casomai ascrivibile alla volontà di anticipare quest’ultima da parte di alcuni attori, da tempo esposti favorevolmente sulle questioni in argomento, ben sapendo che, per come è impostata, una volta emanata, la Direttiva potrebbe, al contrario di ciò che viene detto, costituire un presidio non favorevole allo sviluppo di una legislazione sul salario minimo legale.

La fase in cui siamo entrati è, quindi, molto delicata. La posizione della Cisl, confermata in ogni sede, continua a considerare pericolosa per la contrattazione l’introduzione di una legge sui salari minimi legali.
Oggi possiamo dire che l’analisi svolta dai Sindacati europei e dalla Commissione europea coincidono con la nostra, considerando lo strumento del salario minimo legale solo come il male minore nei paesi in cui la contrattazione non sia ancora sufficientemente diffusa.

Anche forti di questa considerazione, intendiamo non cedere rispetto alle istanze di chi vorrebbe che il Parlamento, o variegate commissioni, si sostituissero alla contrattazione svolta dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative nella definizione quantitativa dei minimi salariali. In quest’ottica, saremo disposti a negoziare solo su soluzioni che confermino in capo alla contrattazione di settore il compito di determinare l’adeguatezza dei salari, in coerenza con i concetti di proporzionalità e sufficienza richiesti dalla Costituzione. La riflessione in tale direzione promossa da un paio di mesi dal Ministro Orlando, che sembra voler cogliere la necessità di valorizzare la contrattazione ed i risultati da essa determinati senza porre soglie di legge, è dunque alla nostra attenzione, sebbene si intravedano molte difficoltà, di non facile soluzione, nella realizzazione di un impianto giuridico che, sostanzialmente, dovrebbe attribuire, almeno in parte, un valore erga omnes ai contratti, senza però ricorrere a norme di regolazione della rappresentanza.

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