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Licenziamenti individuali: nuove pronunce della Corte Costituzionale in tema di contratto a tutele crescenti

La Corte Costituzionale ha emesso due nuove pronunce che proseguono nella direzione di apportare correttivi alle disposizioni del contratto a tutele crescenti (parte del Jobs Act) in tema di licenziamenti individuali.
Ricordiamo a tale proposito le principali pronunce con cui la Consulta si era già espressa sul tema, statuendo l’illegittimità della commisurazione dell’indennizzo risarcitorio a seguito di licenziamento illegittimo sulla base della sola anzianità di servizio, ampliando la portata della nullità del licenziamento ai casi di nullità non espressamente previsti dalla legge, con annesso ampliamento della tutela reintegratoria, nonché giudicando non illegittimo il diverso regime sanzionatorio vigente per gli assunti a tempo indeterminato prima del 7.3.2015 e per gli assunti dopo quella data. 
L’interventismo della Corte sulla materia si conferma con le recentissime Sentenze 128 e 129 del 2024.
Con la prima la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 3, comma 2, del Dlgs 23/2015 (la normativa che regola il contratto a tutele crescenti), nella parte in cui non prevede che la reintegrazione sul posto di lavoro si applichi anche al licenziamento per giustificato motivo oggettivo (licenziamento per motivi economici) per il quale sia direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale allegato dal datore di lavoro. Pertanto nel caso in cui in giudizio venga provata la falsità di quanto il datore di lavoro ha dichiarato come motivazione addotta al licenziamento (ad es. la soppressione di una posizione lavorativa che in realtà non è stata realmente soppressa), il lavoratore ha diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro.
La seconda pronuncia della Corte ha invece affrontato la questione inerente la tutela in caso di asimmetria fra la sanzione tipizzata nella Contrattazione Collettiva per un determinato comportamento ed il licenziamento irrogato dall’azienda, stabilendo in favore del lavoratore la tutela reintegratoria. Pertanto, in tutti quei casi in cui una determinata condotta del prestatore di lavoro sia nel concreto sanzionata col provvedimento espulsivo del licenziamento, ma il Contratto Collettivo preveda per essa una sanzione di natura conservativa (es. richiamo, multa, sospensione) il licenziamento deve essere considerato illegittimo con annessa reintegra sul posto di lavoro.
Le due pronunce, in sostanza, cercano di evitare comportamenti elusivi o surrettizi del datore di lavoro, restituendo spazi più ampi alla reintegra di cui all’art.18 della legge 300/70 (Statuto dei lavoratori), e conseguentemente riducendo le differenze di tutela, in caso di licenziamento individuale, tra assunti prima e dopo il 7 marzo 2015, data di entrata in vigore del contratto a tutele crescenti. Inoltre pare giusto evidenziare come la seconda delle pronunce, nella misura in cui sanziona con la reintegra il licenziamento riferito ad un fatto per cui il Contratto Collettivo aveva previsto una sanzione conservativa, vada nella giusta direzione di valorizzare la contrattazione; valutazione, questa, che non può non incontrare il nostro favore.
Come confermato dalle su esposte pronunce, la Corte Costituzionale sta continuando ad intervenire in maniera chirurgica sul contratto a tutele crescenti, che era parte di una riforma molto più ampia, il Jobs Act del 2015, di cui come CISL continuiamo a condividere l’impianto, in quanto ha rifocalizzato le garanzie a favore dei lavoratori da un’ottica di “tutela del posto” ad una di “tutela del percorso”, potenziando ammortizzatori sociali e politiche attive, nonché rafforzando il ruolo della contrattazione collettiva nella gestione della flessibilità del lavoro e nel contrasto al falso lavoro autonomo
Al di là della valutazione sulle singole sentenze, e senza voler in alcun modo sottovalutare l’importanza degli elementi di tutela individuale, va notato che le due pronunce della Consulta rischiano di essere strumentalizzate per rilanciare l’inutile scontro su quello che da sempre ha assunto, nel dibattito italiano sul lavoro, la natura di simbolo, vale a dire l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, distogliendo l’attenzione dai reali problemi del nostro mercato del lavoro. Infatti i dati ci dicono che dopo il Jobs Act non sono aumentati né i licenziamenti né la precarizzazione del lavoro, quando invece continuiamo a rilevare forti criticità sull’occupazione femminile e giovanile, una bassa percentuale di laureati, mentre permane l’annoso problema della ridotta produttività, che ripropone la questione di come far crescere i livelli retributivi, nonché della bassa crescita, ora a rischio di ulteriore peggioramento per via della carenza di competenze. 
A tale proposito preme segnalare che, già alla luce delle nostre considerazioni contenute nella Circolare 2432 del 4 giugno 2024, ed ancor di più a fronte di questi ulteriori interventi della Consulta, consideriamo oramai sostanzialmente inutile, oltre che dannoso, l’intervento abrogativo del Jobs Act proposto dalla CGIL. Va piuttosto valutata l’opportunità, alla luce dei ripetuti interventi della Consulta, di un riordino normativo della materia dei licenziamenti illegittimi nell’ottica della semplificazione e del rinvio alla contrattazione collettiva, auspicando che ciò possa avvenire in un clima di confronto costruttivo tra politica e parti sociali.

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