“Numeri e Qualità del Lavoro sotto la Lente”, una elaborazione della Cisl sull’andamento dell’occupazione nel Paese prima e dopo la crisi

Roma, 29 Aprile 2015 – “Numeri e Qualità del Lavoro sotto la Lente”, una elaborazione dell’Osservatorio sul Mercato del lavoro progettata e realizzata dal Dipartimento ‘Mercato del Lavoro’ e dall’Ufficio Studi della Cisl che offre un quadro completo, aggiornato e coordinato rispetto alla situazione del lavoro nel Paese. L’analisi parte da un assunto imprescindibile: che il mercato del lavoro è già molto diverso da quello che c’era prima della crisi. Diverso ed al momento ancora decisamente debole.
Si stima infatti che siano stati più di 900.000 i lavoratori che si son trovati senza occupazione dal 2008 ad oggi, con un turn over di ammortizzatori sociali utile ed importante si, ma che poco ha potuto fare rispetto alle condizioni di alcuni settori e territori: il Sud del Paese, colpito ancora una volta in maniera pesantissima, ed i giovani che, da nord a sud , sono stati ancora una volta i più penalizzati sia dalla situazione oggettiva che dalla mancanza di strumenti per agevolarne l’accesso.

in breve:

  • Nel 2014, pure in presenza di un ulteriore calo del PIL, gli occupati hanno avuto una piccola crescita, essenzialmente per effetto della crescita del lavoro a termine e del part time di necessità, involontario. Andamenti poco soddisfacenti sia dal punto di vista quantitativo, che soprattutto della qualità del lavoro.
  • Il Bonus occupazionale e lo sgravio IRAP sui rapporti a tempo indeterminato, percepiti come favorevoli a miglioramenti quantitativi e qualitativi del mercato del lavoro, hanno rafforzato le attese delle famiglie sull’occupazione, come emerge dai dati dell’ISTAT del clima di fiducia.
  • Le nuove convenienze per i rapporti a tempo indeterminato dovrebbero nei prossimi mesi rafforzare la stabilità dei rapporti. Vi sono al momento alcune evidenze in tal senso provenienti da fonti amministrative, che necessitano, però, di una verifica. Un’idea più chiara si potrà avere a giugno, quando l’ISTAT pubblicherà i dati di consuntivo del primo trimestre 2015.
  • Una serie di fattori pone le condizioni per una ripresa, ma fino a quando la crescita del PIL sarà bassa, come nelle attese dello stesso Governo, poco si potrà sperare sull’aumento dell’occupazione. Per ulteriori risultati la politica europea deve diventare più favorevole alla crescita e l’Italia deve utilizzare tutti gli spazi di flessibilità.
  • Il Bonus per i nuovi assunti deve essere previsto anche oltre il 2015. Le obiezioni, che sono state fatte allo strumento, che porterebbe le imprese a licenziare per poi riassumere, non appaiono consistenti in presenza di un’indennità di licenziamento adeguata. Soprattutto se vi è un buon investimento in formazione per il nuovo assunto, che rafforza il rapporto tra dipendente e impresa. Questo numero dell’Osservatorio sviluppa un ragionamento al riguardo.
  • La crescita delle competenze degli addetti, la loro esperienza e la formazione specifica nell’impresa costituiscono il miglior salvagente contro il licenziamento, una garanzia per non retrocedere nella propria condizione di lavoro, uno strumento per la realizzazione personale. Purtroppo l’Italia era molto indietro per la formazione per gli adulti e in questi anni le distanze con l’Europa si sono allargate, non si sono ridotte. Cenerentola non sembra aver trovato il suo Principe Azzurro. Siamo con un tasso di partecipazione alle attività di istruzione e diformazione per la popolazione tra 25 e 64 anni nelle ultime 4 settimane prima dell’indagine del 7,6% nel 2014 (6,2% nel 2007) lontanissimi dall’obiettivo fissato per il 2010, che era del 12,5% . Gli altri paesi, che già erano davanti a noi, hanno ulteriormente accelerato. Se ci abbiamo messo sette anni per arrivare al 7,6%, rischiamo di raggiungere il 15% dell’Europa 2020 solo intorno al 2050. Una prospettiva intollerabile per la competitività delle nostre imprese e del sistema.
  • Per di più i dati italiani mostrano una distribuzione delle opportunità formative molto sperequata a danno degli addetti che hanno un basso titolo di studio, delle persone non più giovani, di coloro che lavorano nelle piccole imprese, di chi è disoccupato. Si accentua, così, il dualismo del mercato del lavoro e la diseguaglianza nella società.
  • Bassi tassi di partecipazione alle attività di istruzione e formazione riguardano certo il Sud ( generalmente tra il 4 e il 5% nel 2014), ma anche realtà economiche ben più forti come il Veneto (5,6%), il Piemonte (6%), le stesse Lombardia ed Emilia (6,6%).
  • L’Osservatorio OCSEL – CISL della contrattazione di 2° livello mostra un pesante ripiegamento della trattazione della formazione negli accordi decentrati (analizzata in uno specifico riquadro); l’incidenza di questo tema sul totale degli accordi è passata dal 19% del 2009 al 5% nel 2014. I contenuti delle attività formative restano tarati sulle competenze di base piuttosto che posizionati su quelle strategiche. Il sindacato appare anche poco coinvolto nella definizione delle caratteristiche dei partecipanti ai corsi formativi.
  • Bisogna rilanciare fortemente il ruolo della negoziazione della formazione per farne crescere la quantità e la qualità. E’ necessario rafforzare le opportunità formative per i soggetti più deboli, anche fortificando la cultura dell’apprendimento nel luogo di lavoro. Sapendo che la capacità di fare formazione è legata alla capacità di immaginare il futuro, prossimo e lontano, dell’impresa. Per fare questo dialogo sociale e contrattazione non sono un impedimento, ma anzi un motore in più. Le analisi della Fondazione di Dublino mostrano che le imprese più attive sulla formazione e con un approccio inclusivo, che offre maggiori opportunità in termini di permessi e corsi alla maggior parte degli addetti, hanno le migliori performance economiche ed hanno dipendenti che dichiarano un maggiore benessere sul lavoro.

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