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Emergenza coronavirus. Varato il DL 23 febbraio 2020, n. 6: una prima analisi

Pubblicato il 25 Feb, 2020

25 Febbraio 2020 – Una prima analisi del Decreto legge del 23 febbraio 2020, n.6 recante “Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19”,varato con urgenza dal Governo il 22 febbraio scorso. Il Dl prevede, tra le altre misure, il divieto di allontanamento e di accesso alle aree interessate, la chiusura delle scuole, la chiusura di tutte le attività commerciali, esclusi gli esercizi per l’acquisto dei beni di prima necessità’, la chiusura o limitazione dell’attività degli uffici pubblici, la sospensione delle attività delle imprese, la sospensione o limitazione dello svolgimento delle attività lavorative nel comune o nell’area interessata nonchè delle attività lavorative degli abitanti di detti comuni o aree svolte al di fuori del comune o dall’area interessata.

Su quest’ultimo punto lo stesso decreto legge prevede la possibilità di ovviare alla sospensione delle attività lavorative con deroghe in ordine ai presupposti, ai limiti e alle modalità di svolgimento del lavoro agile.

Il decreto legge demanda l’attuazione delle misure ivi previste ad uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta dei ministri competenti.

Il lavoro agile

L’art. 3 del DPCM 23 febbraio 2020, emanato subito dopo in attuazione di alcune delle norme del decreto legge, provvede a dare immediata attuazione alla deroga relativa al lavoro agile, stabilendo che il lavoro agile e’ applicabile in via automatica ad ogni rapporto di lavoro subordinato nell’ambito delle aree considerate a rischio nel rispetto dei principi dettati dalla legge che lo regolamenta, anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti, ferma restando la comunicazione obbligatoria, che va resa in via telematica anche ricorrendo alla documentazione resa disponibile sul sito dell’Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro. Ricordiamo che la legislazione che contiene la regolamentazione del lavoro agile è rappresentata dagli artt.18-23 della legge 22 maggio 2017 n.81. Ai sensi di tale normativa, il lavoro agile è un modo di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilito mediante accordo individuale tra le parti, che si svolge con le seguenti modalità:

  •  assenza di precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro;
  •  esecuzione della prestazione lavorativa in parte all’interno dei locali aziendali e in parte all’esterno ed entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva;
  • assenza di una postazione fissa durante i periodi di lavoro svolti all’esterno dei locali aziendali;
  • possibilità di utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa.

La legge fissa la piena parità di trattamento con lavoratori che svolgono le medesime mansioni esclusivamente all’interno dell’azienda ed esplicita il diritto a tempi di riposo e a misure per assicurare la disconnessione.

Lo smart working, oltre ad essere condizionato ad un accordo individuale tra datore di lavoro e lavoratore, è assoggettato alle comunicazioni obbligatorie da parte del datore di lavoro in quanto, pur non rappresentando una novazione del contratto di lavoro, rappresenta una modifica alle sue modalità di svolgimento. Negli ultimi anni vi è stata una grande diffusione del lavoro agile in Italia, quasi esclusivamente nelle aziende medio-grandi e sempre sulla base di accordi collettivi aziendali (nonostante la legge lo vincoli al solo accordo individuale) che solitamente prevedono la possibilità che la prestazione avvenga in modalità di lavoro agile per alcuni giorni nella settimana.

Quanto stabilito dal decreto legge e dal DPCM rappresenta l’unica modalità veloce per evitare che certe attività si fermino, ed è quindi più che giustificabile la deroga all’accordo individuale. Non è chiarissimo quanto scritto circa la comunicazione obbligatoria, che comunque resta come condizione per l’attivazione. Da valutare, se l’emergenza dovesse prolungarsi, la possibilità di un accordo collettivo sul lavoro agile a livello territoriale.

Va sottolineato che molte aziende, fin dalle prime ore dell’emergenza coronavirus, si sono attivate per l’utilizzo dello smart working. Si tratta, per lo più, di aziende in cui è già operativo un accordo collettivo che lo regolamenta, che stanno ampliano il numero di lavoratori coinvolti, anche al di fuori delle aree coinvolte dalle interdizioni viste sopra.

I problemi di sostegno al reddito posti dalla sospensione delle attività lavorative

Naturalmente lo smart working sarà applicabile solo in una parte delle aziende nelle aree a rischio. Per tutti gli altri lavoratori costretti a sospendere le attività lavorative la Cisl ha chiesto al Governo, nel confronto iniziato con la ministra Catalfo[Marker] (vedi circolare della Segreteria Generale del 24 febbraio scorso), misure immediate e generalizzate di sostegno al reddito, in quanto su di essi non deve ricadere alcuna perdita di retribuzione, né la costrizione ad utilizzare giornate di ferie o malattia. Peraltro a questi casi si aggiungono i casi, anche al di fuori della zona individuata, in cui a singoli lavoratori viene chiesto di stare a casa per sospetto virus.

Esistono strumenti ordinari che possono essere utilizzati, come la Cassa integrazione ordinaria e il Fondo di integrazione salariale, va però posta molta attenzione alle causali e alle procedure, che vanno adeguate alla particolare circostanza, come pure all’ambito di applicazione di questi istituti, che non è generalizzato, e alle risorse necessarie, che potrebbero essere insufficienti qualora l’emergenza dovesse prolungarsi.

Pertanto sarebbe più efficace individuare uno strumento specifico di Cassa integrazione in deroga, finanziato con risorse dedicate e adeguate, rivolto a tutti i datori di lavoro (aziende, enti, scuole private, etc), indipendentemente dai limiti dimensionali, e a tutti i lavoratori, a prescindere dalla tipologia contrattuale. Tutti i periodi di trattamento concessi non devono essere conteggiati ai fini delle durate massime complessive previste dalla legislazione. Per i lavoratori autonomi (collaboratori, partite Iva) andrebbe prevista una indennità in cifra fissa. Va poi individuata una modalità di tutela del reddito anche per i lavoratori delle amministrazioni pubbliche, ai diversi livelli.

Vanno tenute presenti, infine, le criticità emerse per alcune aziende del manufatturiero nel proseguire normalmente l’attività per difficoltà di approvvigionamento legate all’emergenza coronavirus, difficoltà precedenti ed indipendenti rispetto ai casi ed alle aree di contagio in Italia. Su questo punto potrebbe essere sufficiente, al momento, adattare gli strumenti esistenti, ad esempio escludendo, tra le indicazioni da inserire nella domanda di cassa integrazione ordinaria, quello di prevedere una data certa di ripresa dell’attività.

La Cisl si impegna ad informare sull’evolversi del confronto con il Governo e su ulteriori provvedimenti relativi alle tematiche legate al lavoro.

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