DL 16 giugno 2020, n. 52: ammortizzatori Covid

Pubblicato il 19 Giu, 2020
Il Decreto legge 16 giugno 2020, n. 52 recante “Ulteriori misure urgenti in materia di trattamento di integrazione salariale, nonché proroga di termini in materia di reddito di emergenza e di emersione di rapporti di lavoro” oltre a modificare i termini per la presentazione della domanda di Rem, nonché quelli per la presentazione delle domande di emersione di rapporti di lavoro irregolare, prevede novità di rilievo in materia di cassa integrazione “covid”.

In dettaglio, l’art.1 consente ai datori di lavoro che abbiano interamente fruito del periodo di quattordici settimane di cassa integrazione “covid”, di usufruire di ulteriori quattro settimane anche per periodi decorrenti antecedentemente al 1° settembre 2020, ferma restando la durata massima di diciotto settimane, superando in tal modo la frammentazione delle settimane di cassa integrazione covid previste dal DL Rilancio.
Inoltre diventa perentorio il termine di presentazione delle domande dei trattamenti: si stabilisce infatti che la domanda debba essere  presentata, “a pena di decadenza”, entro la fine del mese successivo a quello in cui ha avuto inizio il periodo di sospensione o di riduzione dell’attività lavorativa. Ciò significa che, trascorso il termine, la domanda non può essere più presentata. In sede di prima applicazione, i
termini sono spostati al trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore del decreto in esame. Per le domande riferite a periodi di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa che hanno avuto inizio nel periodo ricompreso tra il 23 febbraio 2020 e il 30 aprile 2020, il termine è fissato, sempre a pena di decadenza, al 15 luglio 2020.

Si dà poi la possibilità ai datori di lavoro che abbiano erroneamente presentato domanda per trattamenti diversi da quelli a cui avrebbero avuto diritto o comunque con errori o omissioni, di presentare la domanda nelle modalità corrette entro trenta giorni dalla comunicazione dell’errore nella precedente istanza da parte dell’amministrazione di riferimento.
Infine si stabilisce che, in caso di pagamento diretto della prestazione da parte dell’Inps, il datore di lavoro è obbligato ad inviare all’Istituto tutti i dati necessari per il pagamento o per il saldo dell’integrazione salariale entro lo stesso termine previsto per la domanda, vale a dire entro la fine del mese successivo a quello in cui è collocato il periodo di integrazione salariale, ovvero, se posteriore, entro il termine di trenta
giorni dall’adozione del provvedimento di concessione. In sede di prima applicazione, i termini sono spostati al trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore del decreto in esame.
Trascorsi inutilmente tali termini, il pagamento della prestazione e gli oneri ad essa connessi rimangono a carico del datore di lavoro inadempiente.

E’ positiva la soluzione adottata con questo nuovo decreto-legge, che consente ai datori di lavoro di fruire delle ulteriori quattro settimane in continuità, senza dover attendere il 1° settembre. In tal modo si rimedia, appena in tempo, a quello che, già in fase di approvazione del DL rilancio, avevamo additato come un errore clamoroso: infatti la frammentazione delle 9 settimane stava per mettere in estrema difficoltà le
aziende maggiormente colpite dalla crisi, che già dalla fine di febbraio erano state costrette a sospendere l’attività e stavano esaurendo in questi giorni le 14 settimane disponibili.
Intervento necessario, dunque, ma tuttavia non sufficiente: occorre infatti assicurare la proroga, e le risorse per finanziarla, sino alla fine dell’anno. 

Per quanto riguarda, poi, i termini perentori per le domande e per l’invio dei dati, che, se non rispettati, lasciano i trattamenti a carico dell’impresa, riteniamo si tratti di una norma inutilmente drastica, da leggere alla luce delle polemiche sorte intorno ai ritardi dei pagamenti.

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