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Marche. Sviluppo e fondi europei: l’economia marchigiana in picchiata. Cgil Cisl Uil: “Serve più governance e innovazione”

Pubblicato il 12 Dic, 2019

12 dicembre 2019 – Non è una novità che le Marche siano una regione a vocazione manifatturiera: il valore aggiunto del sistema manifatturiero sul totale dell’economia regionale nel 2016, ultimo anno disponibile, si attesta al 23,4%, il dato più elevato in assoluto in Italia, così come con il 24,9% si conferma il primato degli occupati in tale settore (contro la media nazionale, che è rispettivamente del 16,4 e del 15,6). Una caratteristica che ha determinato alti livelli di benessere, livelli seriamente erosi da questi ultimi dieci anni di crisi. La nostra industria manifatturiera ha bisogno di attenzione, risorse e visione strategica, per poter crescere e competere nel mutato contesto nazionale, europeo e globale.

Il trend economico delle Marche nell’ultimo decennio è infatti preoccupante: fatto 100 il valore del PIL a prezzi correnti del 2007, la diminuzione è più netta rispetto sia alla media nazionale, che a quelle delle regioni del Centro e del Nord-Est fino al 2013; il recupero successivo appare invece più lento, tanto che nel 2017 le Marche sono appena riuscite a tornare ai livelli del 2007, mentre il Centro è al 104,6%, la media nazionale al 107,2 e quella del Nord-Est a 111.

Un altro indicatore preoccupante è la spesa per ricerca e sviluppo in percentuale al PIL, che nel 2017 è dell’1,12% per le Marche contro l’1,38% della media nazionale, l’1,52 delle regioni del Centro e l’1,57% di quelle del Nord Est. Dati alla mano, l’impressione è che questa voce sia stata vista troppo a lungo nella nostra regione solo come un costo aggiuntivo per l’impresa. Nell’ultimo biennio, però, il settore privato ha manifestato una significativa accelerazione, non accompagnata, purtroppo, da un analogo sforzo da parte pubblica, la cui percentuale di spesa rimane stagnante.

Ciò è dovuto anche alla scarsa efficacia delle politiche di sviluppo messe in pratica dalla Regione, a partire dall’utilizzo dei fondi europei, sia a livello quantitativo che a livello qualitativo.

Manca una visione strategica, per cui gli stessi impegni di spesa risultano poco efficaci:il monitoraggio della Ragioneria Generale dello Stato al 31 agosto 2019 dà per le Marche 253,81 M€ di impegnato su 585,38 M€ di risorse programmate, ovvero poco più del 43%, che ci pone ben ultimi tra le regioni più sviluppate (peggio di noi soltanto l’Umbria).
Se poi si valuta dal lato dei pagamenti, la situazione appare ancora più preoccupante, perché siamo al 15,7% rispetto al programmato e a poco più del 36% sugli impegni di spesa. Praticamente gli ultimi tra le regioni più sviluppate.
Per fare un raffronto con le altre regioni d’Italia,si potrebbero togliere dal totale programmato i 248 M€ di risorse aggiuntive per il sisma, che possono essere spese dalla fine del 2017. Ma anche in questo caso la situazione non cambierebbe in modo significativo: migliora ovviamente la quota degli impegni, ma rimane inesorabilmente basso il livello dei pagamenti.

E’ evidente che il vero limite dell’azione della Regione Marche andrebbe ricercato attraverso un’analisi più compiuta sull’utilizzo dei fondi europei in una logica di integrazione (FESR, FSE e PSR) e finalizzando questi ad un progetto di complessivo e condiviso di orientamento pubblico dello sviluppo, così come noi abbiamo sempre chiesto dall’inizio della legislatura.

Questi dati sono la fotografia di uno scarso avanzamento nell’utilizzo dei fondi europei, ma anche della tendenza a distribuire in maniera eccessivamente parcellizzata le risorse a disposizione e non finalizzarle verso un obiettivo selettivo e mirato. Un esempio per tutti è il bando per l’internazionalizzazione delle imprese, dove ogni soggetto ha ricevuto in media poco più di 13 mila euro: un contributo sicuramente di scarso impatto per le oltre 300 aziende finanziate da un bando di 4 milioni di euro.

Riteniamo opportuno che la Regione, nella prossima tornata di programmazione europea 2021-2027 debba necessariamente aprire un confronto con tutti gli attori sociali per impostare un comune ragionamento che orienti in maniera più puntuale le aziende, spingendole ad associarsi per presentare progetti più incisivi per i quali chiederemo un innalzamento del contributo minimo, sempre nell’ottica di favorire la più alta aggregazione tra soggetti nel territorio.

Occorre infatti porre l’accento anche sul ruolo del partenariato economico e sociale. Questo può svolgere il proprio ruolo attivo e collaborativo soltanto se viene messo in condizione di farlo; significa dargli la possibilità di accesso diretto ai dati sullo stato di avanzamento del programma operativo, in attuazione del Protocollo firmato il 30/06/2014 (DGR n. 802).
Peraltro, neppure gli stessi rapporti di monitoraggio consentono un’analisi affidabile sull’efficacia degli investimenti pubblici: la prima valutazione strategica del Fesr ed il rapportosulla Smart Specialization, che avrebbero dovuto essere disponibili dal 30 giugno scorso, presentano soltanto aspetti metodologici e descrittivi.

Fatto salvo il fatto di conoscere i risultati delle piattaforme tecnologiche di ricerca collaborativa, è necessario la creazione di “luoghi di incontro” tra aziende, centri di ricerca, università, start up e parti sociali. Così come è necessario finalizzare con più efficacia il tavolo regionale che è stato costituito con il forum del partenariato al fine di porre le basi per l’integrazione strategica dei fondi SIE (fondi strutturali di investimento europei), in modo da sviluppare le competenze necessarie per i nuovi lavori, accrescere la coesione sociale e creare un eco-sistema più equo e sostenibile.

Non vorremmo però che tale situazione venga indebitamente imputata al terremoto: i dati economici del biennio precedente al sisma fotografano la realtà di una regione in affanno, anche sul terreno della competitività e dello sviluppo, già prima della calamità naturale.

A tal proposito sarebbe opportuno verificare l’applicazione del Patto per la Ricostruzione, dal momento che i tavoli territoriali, nonostante le continue richieste da parte sindacale e da altri settori del tessuto produttivo locale, non sono mai stati convocati.

Non chiediamo uno spazio esclusivo, anzi: i tavoli territoriali devono essere il luogo di confronto di tutte le energie dei territori colpiti, dove ognuno possa portare un contributo di idee concrete per il rilancio delle aree dell’entroterra.

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