Rapporto di lavoro: dlgs n. 104/2022 di recepimento della Direttiva “Trasparenza”

Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del d.lgs. 27 giugno 2022, n. 104 di attuazione della “direttiva trasparenza” UE 2019/1152, si stabilisce una disciplina di maggior dettaglio rispetto alla normativa esistente (d.lgs. n. 152/1997) in tema di informazione e trasparenza sugli elementi essenziali del rapporto di lavoro. In particolare viene esteso il campo di applicazione anche al di là del lavoro subordinato e vengono inseriti diversi elementi aggiuntivi tra quelli oggetto di informativa obbligatoria. D’altro lato si introducono prescrizioni minime relativamente alle condizioni di lavoro e misure di tutela contro comportamenti ritorsivi o pregiudizievoli conseguenti all’esercizio da parte del lavoratore dei diritti ivi previsti.
La riforma è entrata in vigore il 13 agosto; per espressa previsione normativa si applica ai rapporti di lavoro già istaurati al 1° agosto. Per questi ultimi tuttavia le informazioni vanno fornite, aggiornate o integrate su richiesta scritta del lavoratore entro 60 giorni. Nulla si dispone invece per i rapporti di lavoro instaurati dal 2 al 12 agosto.
Una bozza era stata presentata alle parti sociali dal Ministro del lavoro subito prima dell’invio alle Commissioni parlamentari competenti. In quell’occasione avevamo evidenziato come il testo, pur volendo sviluppare una maggiore consapevolezza del lavoratore, rischiasse in alcune parti di appesantire la gestione dei rapporti di lavoro, ed avevamo di conseguenza avanzato una serie di osservazioni sia al Ministero sia alle Commissioni. Rileviamo tuttavia che le nostre principali osservazioni, non dissimili da quelle della maggior parte delle organizzazioni presenti al tavolo, non sono state recepite.
Di seguito illustriamo e commentiamo in dettaglio le principali innovazioni.

Ambito di applicazione
Una prima importante novità, come detto, riguarda l’estensione del campo di applicazione del diritto di informazione, concernente anche i lavoratori occupati con contratti non standard, del settore pubblico e privato: somministrati, intermittenti e, “nei limiti della compatibilità”, rapporti di collaborazione con prestazione prevalentemente personale e continuativa organizzata dal committente, contratti di co.co.co, contratti di prestazione occasionale (PrestO), financo marittimi, pescatori e lavoratori domestici. Peraltro le informazioni riguardano non solo il momento dell’assunzione ma anche la modifica del contratto dopo l’assunzione.
La previsione che gli obblighi informativi siano applicati, “nei limiti della compatibilità”, anche alle collaborazioni, solleva perplessità. Il concetto della compatibilità, prestando il fianco a differenti interpretazioni potrebbe lasciare non pochi dubbi. Sarebbe stato preferibile introdurre tali obblighi per le sole collaborazioni “etero-organizzate” di cui all’art.2 comma 1, del Dlgs 81/15, trattandosi di collaborazioni alle quale viene estesa la disciplina del lavoro subordinato, esonerando invece dagli obblighi i committenti che utilizzano le collaborazioni coordinate e continuative “genuine” di cui all’art.409 c.p.c.. Gran parte degli obblighi informativi previsti nel decreto legislativo in esame non sembrano infatti compatibili con un rapporto di lavoro autonomo.

Informazioni sul rapporto di lavoro
Il decreto specifica nel dettaglio i contenuti, le modalità ed i termini degli obblighi di informazione.
Nei contenuti, oltre a inquadramento, livello e qualifica attribuiti al lavoratore, tipologia di rapporto di lavoro, durata del periodo di prova, etc, assumono rilievo una serie di informazioni aggiuntive rispetto a quelle previste nella normativa previgente:

  • la programmazione dell’orario normale di lavoro e le eventuali condizioni relative al lavoro straordinario e alla sua retribuzione, nonché le eventuali condizioni per cambiamenti di turno, se il contratto di lavoro prevede un’organizzazione dell’orario di lavoro in tutto o in gran parte prevedibile;
  • se il rapporto di lavoro, caratterizzato da modalità organizzative in gran parte o interamente imprevedibili, non stabilisce un orario normale di lavoro programmato, il datore di lavoro informa il lavoratore circa:
  1. la variabilità della programmazione del lavoro, l’ammontare minimo delle ore retribuite garantite e la retribuzione per il lavoro prestato in aggiunta alle ore garantite;
  2. le ore e i giorni di riferimento in cui il lavoratore è tenuto a svolgere le prestazioni lavorative;
  3. il periodo minimo di preavviso a cui il lavoratore ha diritto prima dell’inizio della prestazione lavorativa e, ove ciò sia consentito dalla tipologia contrattuale in uso e sia stato pattuito, il termine entro cui il datore di lavoro può annullare l’incarico;
  • il contratto collettivo, anche aziendale, applicato al rapporto di lavoro, con l’indicazione delle parti che lo hanno sottoscritto.

L’obbligo di informazione può essere assolto, di norma, mediante consegna al lavoratore, all’atto dell’istaurazione del rapporto di lavoro e prima dell’inizio dell’attività lavorativa, del contratto individuale di lavoro redatto per iscritto oppure della copia della comunicazione di istaurazione del rapporto di lavoro al centro per l’impiego. La prova di consegna va peraltro conservata per almeno 5 anni.
Di rilievo la previsione, che anticipa una analoga disposizione contenuta nella proposta di direttiva sul miglioramento delle condizioni di lavoro mediante piattaforme digitali, relativa agli ulteriori obblighi informativi nel caso di utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati (algoritmi) deputati a fornire indicazioni rilevanti ai fini della assunzione o del conferimento dell’incarico, della gestione o della cessazione del rapporto di lavoro, dell’assegnazione di compiti o mansioni nonche’ indicazioni incidenti sulla sorveglianza, la valutazione, le prestazioni e l’adempimento delle obbligazioni contrattuali dei lavoratori.

E’ prevista per il datore di lavoro una sanzione pecuniaria da 250 a 1.500 euro, più elevata rispetto alla normativa previgente, per ogni lavoratore interessato, in tutti quei casi in cui sia ravvisabile – previa denuncia da parte del lavoratore e conseguente accertamento da parte dell’Ispettorato – il mancato, ritardato, incompleto o inesatto assolvimento degli obblighi di informazione e trasparenza.

E’ da osservare che la nuova disciplina rischia di appesantire notevolmente la gestione amministrativa dei rapporti di lavoro, inasprendo peraltro le sanzioni in caso di inadempimento. Principio cardine dovrebbe essere viceversa quello di una semplificazione della normativa nell’ottica di favorire l’effettiva esigibilità del dato normativo, al fine di evitare il più comodo ricorso al lavoro nero e irregolare.
Poichè molti degli elementi considerati al fine di assicurare condizioni di lavoro trasparenti sono regolati dalla contrattazione collettiva, la soluzione più semplice ed efficace, anche al fine di evitare inutili duplicazioni, avrebbe potuto essere quella di consentire l’adempimento di gran parte degli obblighi informativi attraverso il rinvio al contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro. E’ da sottolineare che tale possibilità è espressamente prevista dalla direttiva UE 2019/1152. D’altro lato, tra le informazioni essenziali da fornire al lavoratore, è stata positivamente inserita quella relativa al contratto collettivo, anche aziendale, applicato al rapporto di lavoro, con indicazione delle parti che lo hanno sottoscritto.
Sul punto specifico relativo agli obblighi informativi nel caso di utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati, è apprezzabile che l’informativa sia rivolta non solo al singolo lavoratore ma anche alle rappresentanze sindacali aziendali e, in assenza, alle sedi territoriali. Tuttavia, per rafforzare effettivamente la tutela dei singoli la via maestra parrebbe quella di prevedere, anche attraverso la contrattazione collettiva, anziché una mera informazione, un vero e proprio diritto alla consultazione e al coinvolgimento delle organizzazioni sindacali relativamente all’introduzione e all’utilizzo dei sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati. Un approccio di tutela collettiva sarebbe ben più efficace rispetto al complesso elenco di diritti informativi individuali previsti, che andrebbero ad appesantire gli obblighi del datore di lavoro senza fornire concrete opportunità di tutela al lavoratore che dovesse trovarsi a subire pregiudizio dall’utilizzo improprio dei sistemi stessi.

Prescrizioni minime relative alle condizioni di lavoro
Tra le prescrizioni minime relative alle condizioni di impiego vengono regolamentati: il periodo di prova; la possibilità di cumulare più impieghi; l’organizzazione del lavoro, che deve essere caratterizzata dalla prevedibilità, salvi casi eccezionali; la facoltà del lavoratore di richiedere la transizione a forme di lavoro più prevedibili, sicure e stabili; la previsione esplicita che la formazione obbligatoria deve essere considerata orario di lavoro. Vediamo in dettaglio.
Il periodo di prova, laddove previsto, non può essere di durata superiore a sei mesi, fatta salva la durata inferiore prevista dai contratti collettivi. Per i rapporti di lavoro a tempo determinato il periodo di prova dovrà essere stabilito in misura proporzionale alla durata del contratto e alle mansioni da svolgere, precisando che in caso di rinnovo di un contratto di lavoro per lo svolgimento delle stesse mansioni, il rapporto di lavoro non potrà essere soggetto ad un nuovo periodo di prova. La norma dispone infine che, in caso di sopravvenienza di eventi quali malattia, infortunio, congedo di maternità o paternità obbligatori, il periodo di prova è prolungato in misura corrispondente alla durata dell’assenza.

La disposizione sul cumulo di impieghi sancisce, fatto salvo quanto previsto dall’art. 2105 del c.c., che disciplina l’obbligo di fedeltà del prestatore di lavoro nei confronti dell’imprenditore, l’impossibilità da parte del datore di lavoro di vietare al lavoratore lo svolgimento di altra attività lavorativa al di fuori della programmazione oraria concordata contrattualmente, eccetto nel caso in cui sussista una delle seguenti condizioni:
• un pregiudizio per la salute e sicurezza, ivi compreso il rispetto della normativa in materia di durata dei riposi;
• la necessità di garantire l’integrità del servizio pubblico;
• la diversa ed ulteriore attività lavorativa sia in conflitto d’interessi con la principale, pur non violando il dovere di fedeltà di cui all’articolo 2105 del codice civile.

Di rilievo le novità circa la prevedibilità minima del lavoro. Il datore non potrà imporre al lavoratore di svolgere l’attività lavorativa, salvo che ricorrano entrambe le seguenti condizioni:
• il lavoro si svolga entro ore e giorni di riferimento predeterminati;
• il lavoratore sia informato dal suo datore di lavoro sull’incarico o la prestazione da eseguire.
In carenza di una o di entrambe le condizioni, il lavoratore avrà il diritto di rifiutare di assumere un incarico di lavoro o di rendere la prestazione, senza subire alcun pregiudizio anche di natura disciplinare.
Il datore di lavoro, conformemente ai criteri individuati dai contratti collettivi anche aziendali, dovrà informare il lavoratore:
a) del numero delle ore minime retribuite garantite su base settimanale;
b) delle maggiorazioni retributive, in misura percentuale rispetto alla retribuzione oraria base, spettanti per le ore lavorate in aggiunta alle ore minime retribuite garantite.
Si introduce infine una specifica tutela nei confronti del lavoratore prevedendo che il datore di lavoro che revochi un incarico o una prestazione di lavoro precedentemente programmato, senza un ragionevole periodo di preavviso, sarà tenuto a riconoscere al lavoratore la retribuzione inizialmente prevista per la prestazione pattuita dal contratto collettivo, ove applicabile o, in mancanza, una somma a titolo di compensazione per la mancata esecuzione dell’attività lavorativa, la cui misura non può essere in ogni caso inferiore al 50 per cento del compenso inizialmente pattuito per la prestazione annullata.

Quanto alla transizione a forme di lavoro più prevedibili, sicure e stabili, viene regolamentata la possibilità, per il lavoratore che abbia maturato un’anzianità di lavoro di almeno sei mesi presso lo stesso datore di lavoro (o committente) e che abbia completato l’eventuale periodo di prova, di chiedere che gli venga riconosciuta una forma di lavoro con condizioni più prevedibili, sicure e stabili, se disponibile. Restano ferme disposizioni più favorevoli già previste dalla legislazione vigente. Il diritto potrà essere esercitato dal lavoratore a condizione che venga manifestato per iscritto al datore di lavoro o al committente. Inoltre, il lavoratore che abbia ricevuto risposta negativa può comunque presentare una nuova richiesta dopo che siano trascorsi almeno sei mesi dalla precedente. Il datore di lavoro (o il committente) dal canto suo dovrà fornire risposta scritta e motivata entro un mese dalla richiesta del lavoratore. In caso di richiesta reiterata da parte del lavoratore di analogo contenuto, le persone fisiche in qualità di datori di lavoro o le imprese che occupano fino a cinquanta dipendenti possono rispondere in forma orale qualora la motivazione della risposta rimanga invariata rispetto alla precedente.

Infine, nel caso in cui il datore di lavoro sia tenuto, secondo previsioni di legge o di contratto individuale o collettivo, ad erogare ai lavoratori una formazione per lo svolgimento del lavoro per cui sono impiegati (cd. formazione obbligatoria), questa – da garantire gratuitamente a tutti i lavoratori – andrà considerata come orario di lavoro e, ove possibile, dovrà svolgersi durante lo stesso. Tale obbligo non riguarda la formazione professionale o la formazione necessaria al lavoratore per ottenere, mantenere o rinnovare una qualifica professionale, salvo che il datore di lavoro non sia tenuto a fornirla secondo la legge o la contrattazione collettiva. Restano ferme le disposizioni relative a informazione e formazione dei lavoratori sulla sicurezza sui luoghi di lavoro (artt. 36 e 37, D.Lgs. n. 81/2008).

Per quanto riguarda il periodo di prova, l’indicazione di una durata massima di 6 mesi era già contenuta nell’art.10 della legge 604/1966, ferma restando la facoltà della contrattazione collettiva di individuare durate inferiori. Anche il principio per il quale il periodo di prova va prorogato in occasione di eventi non prevedibili, quali malattia, infortunio, gravidanza, etc., richiama indirizzi prevalenti della giurisprudenza. Riguardo all’affermazione del principio della proporzionalità della durata del periodo di prova rispetto alla durata dei contratti a termine, e alla non riproposizione della prova in caso di successione di contratti a termine con lo stesso lavoratore, si richiamano anche qui concetti già sostenuti dalla giurisprudenza maggioritaria e dalla contrattazione collettiva.

Le disposizioni circa la prevedibilità minima del lavoro, pur garantendo informazioni importanti ai lavoratori, rischiano in qualche caso di sovrapporsi alle norme dei contratti collettivi che regolamentano ampiamente sia la disciplina dell’orario sia le eventuali maggiorazioni per le ore aggiuntive, anche per quanto riguarda i rapporti di lavoro temporanei.
Inoltre tali norme non sembrano propriamente applicabili alle collaborazioni di cui all’art. 409 c.p.c. che, in quanto rapporti di lavoro autonomo, non contemplano che siano predeterminati l’orario di lavoro e la sua collocazione temporale. Infine, va fatta salva la modalità del lavoro agile, che per sua natura non sempre prevede che siano predeterminati l’orario di lavoro e la collocazione temporale.
La norma sulla transizione a forme di lavoro più prevedibili, sicure e stabili somiglia molto ad una norma di principio, di scarsa utilità. Meglio sarebbe stato introdurre un diritto di informazione al lavoratore in caso di mancata proroga o rinnovo del contratto, nonché un diritto del lavoratore temporaneo a recedere volontariamente dal rapporto di lavoro, indicando un congruo preavviso.

Misure di tutela

I lavoratori, compresi coloro il cui rapporto di lavoro è cessato, che ritengano siano stati violati i diritti previsti dal decreto in esame ferma restando la facoltà di adire l’autorità giudiziaria e amministrativa e salvo specifiche procedure previste dalla contrattazione collettiva, potranno esperire il tentativo di conciliazione presso gli uffici territoriali dell’Ispettorato Nazionale del lavoro, o ricorrere ai collegi di conciliazione ed arbitrato oppure alle camere arbitrali previste dall’art. 31, comma 12, della L. n. 183/2010.

E’ previsto il divieto di licenziamento e di trattamenti pregiudizievoli del lavoratore conseguenti all’esercizio dei diritti previsti dal decreto in esame.
I lavoratori licenziati o destinatari di misure equivalenti al licenziamento adottate nei loro confronti dal datore di lavoro o dal committente possono fare espressa richiesta dei motivi delle misure adottate, essendo il datore di lavoro o il committente tenuti a fornire, per iscritto, tali motivi entro sette giorni.
Qualora il lavoratore faccia ricorso all’autorita’ giudiziaria competente, lamentando la violazione del divieto di licenziamento e di trattamenti pregiudizievoli, incombe sul datore di lavoro o sul committente l’onere di provare che i motivi addotti a fondamento del licenziamento o degli altri provvedimenti equivalenti non siano riconducibili all’esercizio dei diritti previsti dal decreto in esame.

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