Già precedentemente abbiamo posto l’attenzione alle iniziative messe in atto da alcune Giunte comunali, Firenze il caso più eclatante, che nell’ambito degli appalti pubblici e in qualità di stazioni appaltanti, attraverso specifiche delibere hanno fissato una soglia di 9 euro quale trattamento economico minimo.
Successivamente la Regione Puglia con apposita legge regionale ha fissato criteri qualitativi per la aggiudicazione dell’appalto pubblico tra i quali una soglia minima retributiva di 9 euro, mentre in questi giorni anche il comune di Napoli, per stare ad un caso di rilievo, ha assunto una delibera in materia di appalti pubblici molto simile nella sostanza a quella del comune di Firenze.
Appare sempre più evidente che tali azioni sono mosse da un intento politico più che essere azioni incisive sul piano normativo e oltretutto di dubbia efficacia dato che i contratti collettivi nazionali e territoriali sottoscritti dalle associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale hanno condizioni retributive complessive superiori ai limiti di soglia posti nelle delibere, nonché contengono un quadro normativo importante di tutele per le lavoratrici e i lavoratori anche in materia di sicurezza sul lavoro.
Inoltre, per quanto riguarda le delibere comunali, esse risultano in evidente contrasto con la gerarchia delle fonti del diritto, che attribuisce agli atti aventi forza di legge una posizione prevalente rispetto a quelli delle amministrazioni locali.
Per quanto concerne, invece, la legge emanata dalla Regione Puglia, essa si pone in contrasto con le competenze in materia di condizioni di lavoro, che rientrano nell’esclusiva potestà dello Stato.
Il confronto politico a livello nazionale sul tema del “salario minimo”, che prosegue da anni nel nostro paese, da una campagna elettorale all’altra ed è oggetto di diverse proposte di legge, tende ora a spostarsi in alcuni ambiti regionali e territoriali. L’obiettivo è determinare casi che possano costituire precedenti politici e normativi, in grado di influenzare il dibattito più ampio anche in campo giuslavoristico.
La CISL rimane contraria a interventi normativi a qualsiasi livello in materia retributiva, che deve rimanere nell’ambito della autonomia collettiva e prerogativa quindi delle parti sociali e della contrattazione collettiva secondo consolidata prassi e ruolo riconosciuto anche sul piano giuridico.
La CISL da sempre sostiene la necessità imprescindibile del riconoscimento alle lavoratrici e ai lavoratori di una retribuzione dignitosa nello spirito che permea l’art.36 della costituzione, la cui adeguatezza è definita dalla contrattazione collettiva così come indicato dalla stessa Direttiva europea la quale afferma che “negli stati membri in cui la tutela del salario minimo è prevista esclusivamente mediante contrattazione collettiva, il livello dei salari minimi e la percentuale dei lavoratori tutelati sono determinati direttamente dal funzionamento del sistema di contrattazione collettiva e dalla copertura della contrattazione collettiva”.
Per la CISL la questione essenziale in materia di tutele per le lavoratrici e i lavoratori nell’ambito degli appalti pubblici è quindi la applicazione delle previsioni retributive e normative previste dai contratti collettivi nazionali e territoriali sottoscritti dalle organizzazioni sindacali e dalle associazioni datoriali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con le attività oggetto dell’appalto come previsto dall’art. 11 del Codice degli Appalti.
Sarebbe interessante rilanciare e ampliare il campo, all’interno di una dialettica propositiva con queste amministrazioni, così solerti nell’individuazione di una soglia di salario minimo, chiedendo come stiano gestendo la qualificazione delle stazioni appaltanti, analizzando le percentuali tra affidamenti diretti e procedure con bando, e verificando se si stia ricorrendo esclusivamente all’affidamento basato sul costo (al ribasso) o, al contrario, privilegiando l’offerta economicamente più vantaggiosa. Inoltre, sarebbe utile indagare come stiano affrontando il tema della digitalizzazione delle procedure, strumento fondamentale per migliorare la qualità degli operatori economici e delle stazioni appaltanti. Questi spunti potrebbero contribuire a promuovere momenti di confronto volti a limitare il subappalto, favorire l’aggregazione tra imprese e garantire la trasparenza e la legalità nei bandi di gara, tematiche già ampiamente proposte dalla nostra Confederazione in relazione al codice dei contratti. È fondamentale valorizzare gli eccellenti risultati raggiunti dalle nostre categorie nazionali, che hanno concluso importanti rinnovi contrattuali, a beneficio di milioni di lavoratrici e lavoratori finalizzati al recupero del potere di acquisto delle retribuzioni e che hanno contribuito di fatto a sgonfiare il tema relativo al “salario minimo”.